Il nuovo fronte dello scontro era già stato anticipato in campagna elettorale. E mentre lo spoglio è ancora in corso, la Lega già provoca: con la vittoria del Sì al taglio dei parlamentari bisogna tornare a votare. Nonostante molti big del Carroccio abbiano votato No al referendum adesso tentano di sfruttare la vittoria schiacciante del Sì accusando l’attuale parlamento di essere deligittimato. “Se come sembra vincerà il Sì al referendum è chiaro che l’attuale parlamento non può votare il Presidente della Repubblica“, dice Edoardo Rixi, già viceministro del governo gialloverde. “La riforma prevede che ci siano 600 parlamentari, non gli attuali 945, un collegio di voti”, aggiunge il deputato leghista, secondo il quale, dunque, l’elezione del nuovo capo dello Stato deve passare da un nuovo Parlamento. E quindi quello attuale deve essere sciolto, nonostante ci sia ancora una maggioranza parlamentare.
Un ragionamento quasi provocatorio al quale replica a stretto giro Stefano Ceccanti, capogruppo Pd in commissione Affari Costituzionali. “Appare curiosa la teoria della Lega secondo la quale se il Parlamento si autoriforma, se gli eletti diminuiscono di un terzo la loro possibilità di tornare, sarebbero anche delegittimati. La capacità di autoriforma conferma la legittimità e la rafforza”, dice l’esponente del Pd. “Non solo il Parlamento non esce delegittimato – aggiunge – ma è vero esattamente il contrario: delle Camere che hanno preso una decisione coraggiosa di autoriforma, confermata dagli elettori, può e deve proseguire sino al 2023 sia con l’attività di Governo sia con altre riforme istituzionali condivise al di là della maggioranza di Governo”.
In verità sulla questione esiste un precedente seppur non strettamente legato a un referendum costituzionale. Il 4 dicembre del 2013 la Consulta definì incostituzionale il Porcellum, la legge elettorale che aveva regolato le elezioni politiche dal 2006, comprese dunque quelle del febbraio dello stesso anno. Da più parti si invocò uno scioglimento del Parlamento eletto con una norma incostituzionale, ma Camera e Senato arrivarono fino a fine legislatura. E nel 2015 il Parlamento con quella medesima composizione elesse Sergio Mattarella al Quirinale. Il mandato dell’attuale presidente della Repubblica scadrà nel 2022 e – salvo uno scioglimento anticipato – toccherà ai 945 componenti di questo Parlamento eleggere il nuovo capo dello Stato. Con buona pace dei ragionamenti leghisti.