Ha vinto Michele Emiliano. Ma proprio lui, quello ripudiato da tutti gli alleati di governo e di fronte al quale anche pezzi minoritari del Partito Democratico storcevano il naso. Ha vinto come aveva progettato di fare, abbracciando tutto l’abbracciabile con uno stuolo di 15 liste che tenevano insieme il simbolo della Dc e Nichi Vendola. Una strategia precisa avviata già durante il primo mandato: un occhio strizzato all’elettorato Cinque Stelle e una mano stretta a ex alfaniani e berluscones. “Ho avuto paura di perdere”, ha ammesso mentre festeggiava la rielezione. E questo nonostante un candidato riciclato, Raffaele Fitto, supportato però da tutto il centrodestra. Ha perso la minestra riscaldata, ha vinto la politica del minestrone di Miche’. Carlo Calenda lo aveva definito “un tegame dello spezzatino in cui puoi buttarci un po’ di tutto”. Pensava di insultarlo, ma aveva individuato la ricetta della vittoria.
Larga, oltretutto. I sondaggi dipingevano un testa a testa all’ultimo voto, nel quale addirittura Emiliano avrebbe inseguito. Alla prima proiezione invece il distacco era già netto, ampio, definito. Una vittoria limpida, trainata dalla provincia di Bari, festeggiata già all’ora di cena. Con l’entusiasmo per la Puglia che “non piega la schiena” ma anche la “grande tristezza” per non essere riuscito a riproporre la stessa alleanza di governo Conte. “Anche perché ho dato tanto all’esecutivo – ha spiegato, a ragione, il governatore – E io e Fitto siamo due persone rispettabilissime, ma con storie molto diverse”. Di fronte alla corsa solitaria di Italia Viva, restata assai ai margini della competizione con Ivan Scalfarotto attorno al 2% e fuori dal Consiglio regionale, e al no barricadero di Antonella Laricchia e del M5s, il magistrato antimafia in aspettativa ha fatto da sé.
Ha messo insieme quindici liste – comprese la Società Aperta-Associazione I Liberali, Pensionati e Invalidi e il Popolo delle Partite Iva – e tenuto insieme lo scudocrociato della Dc Puglia e la falce e martello della Sinistra Alternativa. Le civiche con il suo nome – Con Emiliano, Popolari con Emiliano, Emiliano sindaco di Puglia – sono il “secondo partito” della Regione con oltre il 13% delle preferenze, dietro solo al Pd. Ha ricevuto anche il sostegno di Nichi Vendola, l’uomo che quindici anni fa per primo mise all’angolo Fitto e aprì la Primavera pugliese. L’ex governatore benedice la sua vittoria, ma avverte anche sulla necessità di non tradire la fiducia ricevuta: “Per Emiliano oggi c’è il dovere di rilanciare la sfida meridionalista, anche ascoltando le critiche a volte sacrosante che hanno riguardato l’azione del governo regionale”.
La sfida viene adesso, sopratutto sulla decarbonizzazione dell’Ilva, dopo una campagna elettorale vecchio stile dei suoi oltre 500 candidati giocata “casa per casa, paese per paese”. Grazie alla quale Emiliano è riuscito a rubare un po’ di voto disgiunto a Laricchia e Fitto, che chiuderanno con meno voti personali di quanti ne abbiano raccolti le liste a loro sostegno. “Voto utile”, è stato ribattezzato. Poca roba, sia chiaro. Ma comunque dai Cinque Stelle è arrivato quello di chi era cosciente dell’impossibilità di una vittoria e anche dal centrodestra più di qualcuno ha pensato quel che hanno voluto ignorare i leader di Fratelli d’Italia e Forza Italia. Cioè che dopo 15 anni di centrosinistra i tempi erano maturi perché la regione di Pinuccio Tatarella tornasse a destra, ma il volto di Fitto era indigeribile. Matteo Salvini aveva fiutato e dopo aver dovuto incassare la candidatura e si è tenuto il più possibile alla larga dall’europarlamentare.
Governatore per cinque anni, già sconfitto dopo una riforma della sanità e 870 milioni di euro di derivati per ripianare il buco nei bilanci, la sua versione descamisada e look giovanile, ora che ha 51 anni, non ha trafitto i cuori dei pugliesi. Ha tentato una sorta di opera di rimozione, parlando poco del suo precedente mandato. Certe cose, come la chiusura o il declassamento di 22 ospedali, del resto è meglio non rivangarle. I pugliesi però non devono aver dimenticato. E gli hanno preferito le incertezze e i nodi irrisolti di Emiliano, il governatore che ha dato in pasto ai social il suo numero di telefono e giura di rispondere a chiunque gli scriva. Ha sfumato la Primavera di Vendola senza toccare i capisaldi del vendolismo che hanno trasformato la Puglia nell’ultimo quindicennio.
Tutti questi elementi hanno portato a una riconferma che non è quel successo dilagante di un Zaia o De Luca ma resta comunque netto. Grazie anche a ex avversari come Simeone Di Cagno Abbrescia, piazzato alla presidenza dell’Acquedotto Pugliese, e del suo sfidante nel 2015 Francesco Schittulli, che ora lo appoggia. Ma anche nella capacità di intravedere un’arma nell’epidemiologo Pier Luigi Lopalco, passato dalla lotta al Covid-19 a quella per un seggio in Consiglio. Gli unici che hanno rifiutato il corteggiamento sono stati i più corteggiati. I Cinque Stelle che Emiliano voleva in giunta già dal primo giorno del primo mandato gli hanno sbattuto la porta in faccia oggi come allora. E adesso si ritrovano ai margini, stretti in una percentuale che non supererà il 10 per cento – vorrà dire un solo consigliere – quando due anni fa sfiorarono il 50% alle Politiche.
Avevano un piatto d’argento davanti per indirizzare e controllare, hanno preferito la testimonianza. Eppure Miche’ ricomincia da dove aveva finito il primo mandato, non chiudendo a un possibile dialogo anche con loro. Allargare, tenere insieme, non scontentare è la stella polare: “È stata una grande vittoria politica della Puglia – ha detto dopo il successo – Adesso starà a noi interpretarla in modo corretto, dando a ciascuna forza politica, a ciascun elettorato, a ciascuna sfumatura di pensiero dei pugliesi la giusta rappresentanza”. Neanche il tempo di vincere, che Emiliano ha già pronto il prossimo capitolo della politica del minestrone.
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