Tra gli altri imputati l’assessore comunale al Bilancio, Sergio Rolando, e l’ex capo di Gabinetto Paolo Giordana. L’accusa è di abuso d’ufficio e falso in atto pubblico
Sei mesi. Questa la pena inflitta alla sindaca di Torino, Chiara Appendino, per il caso Ream. Tra gli altri imputati l’assessore comunale al Bilancio, Sergio Rolando, e l’ex capo di Gabinetto Paolo Giordana. Il giudice per l’udienza preliminare ha condannato a sei mesi anche Ronaldo, otto mesi, invece, sono stati inflitti a Giordana. L’accusa è di abuso d’ufficio e falso in atto pubblico. Appendino, Giordana e Rolando avevano chiesto il rito abbreviato. Il direttore finanziario del Comune Paolo Lubbia, anche lui imputato, ha invece, scelto il rito ordinario. “Porterò a termine il mio mandato da sindaca. Come previsto dal codice etico mia autosospenderò dal Movimento 5 stelle”, ha fatto sapere la prima cittadina. In serata, in sua sostegno si è esposto anche Beppe Grillo: il fondatore M5s non ha commentato le elezioni, ma ha rilanciato il post della sindaca M5s con la scritta “At voi bin” (in dialetto “ti voglio bene”).
Appendino è stata riconosciuta responsabile di una imputazione di falso ideologico. Sono invece cadute due accuse di abuso in atti di ufficio e una seconda di falso. Assoluzione perché il fatto non sussiste dall’accusa di abuso d’ufficio, assoluzione per abuso e falso ideologico riferiti al bilancio 2017, ma condanna per falso ideologico in atto pubblico in riferimento al bilancio 2016. La sindaca era in aula alla lettura della sentenza. I suoi legali, Luigi Chiappero e Luigi Giuliano, hanno annunciato il ricorso in appello.”La tenuità della condanna dimostra l’irrilevanza del fatto. Leggeremo le motivazioni e ci appelleremo, fiduciosi di poter ribaltare la sentenza” afferma Chiappero. Per Chiara Appendino non scattano i meccanismi previsti dalla legge Severino: la sindaca di Torino, infatti, è stata condannata solo per falso ideologico ed è stata assolta dal reato di abuso in atti di ufficio.
Il processo verte sul caso dell’ex Westinghouse e di una caparra da cinque milioni che la Ream, società partecipata della Fondazione Crt, aveva versato al Comune, ai tempi della precedente giunta, per avere un diritto di prelazione sull’area interessata da un progetto di rilancio per costruire un centro congressi. Nel 2013 il progetto fu aggiudicato a un’altra società. I cinque milioni dovevano essere restituiti nel 2016. Per l’accusa l’amministrazione Appendino non avrebbe inserito nel bilancio 2017 i cinque milioni versati come caparra. Per la sindaca e l’assessore era stato chiesto un anno e due mesi, un anno per l’ex capo di gabinetto. “Ho appreso con tupore e tristezza della mia sentenza di condanna. Resto certo della mia piena innocenza. Attenderò di leggere le motivazioni della sentenza – dice Giordana – ma di sicuro mi appellerò per far valere in quella sede quelle che ritengo siano le mie legittime ragioni”.
Ad annunciare, lo scorso febbraio, che avrebbe chiesto l’abbreviato era stata la stessa sindaca, spiegando di essere “fermamente convinta di avere sempre operato nell’interesse della collettività e della Città. Questa mia scelta, garantendo una più rapida definizione del processo, va nell’interesse anche della Città che rappresento”. L’indagine era stata aperta dopo un esposto dei capigruppo di opposizione. La somma, secondo l’accusa, non è stata però versata, né iscritta a bilancio ma considerata come un debito fuori bilancio. L’ipotesi di reato nasceva da una postilla inserita nel primo bilancio firmato dalla giunta a 5 stelle e fa riferimento alla vicenda dell’ex Westinghouse. Il debito era stato ereditato dall’amministrazione di Piero Fassino, ma cancellato dal documento contabile della città. Le difese hanno sempre affermato di avere agito correttamente e nei mesi scorsi avevano consegnato ai magistrati una pronuncia della Corte dei Conti che, a loro giudizio, confortava la tesi dell’amministrazione. Da anni l’area ex Westinghouse era un grattacapo per le amministrazioni di Torino. Vicino alla stazione Porta Susa e al Palazzo di giustizia, quest’area, su cui sorgeva un’azienda di freni e componenti per i treni, doveva essere riqualificata dai primi anni Duemila. Il primo progetto, quello di costruire la sede centrale delle biblioteche civiche, era naufragato per mancanza di soldi. Il piano successivo, un enorme centro congressi, con annessi parcheggi e supermercati, era stato a lungo fermo per un ricorso al Tar. Ed è in questo ambito che nasce la vicenda Ream, per cui la sindaca Chiara Appendino, il capo di gabinetto Paolo Giordana e l’assessore al Bilancio Sergio Rolando erano stati indagati.
Al momento della gara per assegnare la progettazione e la realizzazione del nuovo complesso i concorrenti avevano dovuto lasciare una caparra. Tra questi c’era anche la Real Estate Asset Management (Ream), società di gestione di risparmio i cui azionisti sono le principali fondazioni bancarie piemontesi, che aveva versato cinque milioni di euro al Comune di Torino per il contratto preliminare. Tuttavia nel 2013 la gara viene aggiudicata dalla Amteco & Maiora srl, che firma il contratto preliminare con il Comune. A quel punto l’amministrazione (giunta Fassino) avrebbe dovuto rendere i cinque milioni di euro con gli interessi alla Ream, ma non lo ha mai fatto. La somma, però, viene registrata regolarmente nel bilancio sotto la voce “debiti” e nel 2014 la società chiede la restituzione. Per due volte, nel 2014 e nel 2015, il direttore della Direzione Territorio e Ambiente comunica alla società che i soldi verranno restituiti non appena terminate le procedure per l’aggiudicazione della concessione, ferme per il ricorso del concorrente escluso, la Nova Coop.
Nel 2016, diventata sindaca, Appendino e la sua giunta si trovano a dover affrontare la questione e a far quadrare un bilancio con grosse difficoltà. Innanzitutto deve ammettere che non può fermare il progetto (come promesso in campagna elettorale e come richiesto da alcuni comitati cittadini), pena la perdita di quasi 20 milioni di euro, preziosissimi per le casse civiche. E preziosi sono anche quei 5 milioni di euro, motivo per cui l’amministrazione vuole posticipare la restituzione. Ed è qui che sorgono i problemi. Il 22 novembre il suo capo di gabinetto, Giordana, scrive una mail alla direttrice della direzione finanze Anna Tornoni di non iscrivere nel bilancio i cinque milioni di euro: “Per quanto riguarda il debito Ream lo escluderei al momento dal ragionamento, in quanto con questo soggetto sono aperti tavoli di confronto”. Pochi giorni dopo la sindaca le manda una lettera: “Stante le trattative aperte con la Città, non è prevista la restituzione”. Tuttavia il 6 dicembre il presidente della Ream Giovanni Quaglia, eletto poi presidente della Fondazione Crt, una delle azioniste di Unicredit, torna a chiedere quel denaro, un elemento che per la procura dimostra l’assenza di trattative in corso. Per la procura, inoltre, il perfezionamento dell’aggiudicazione era avvenuto nell’autunno 2016 (il ricorso al Tar è però terminato soltanto pochi giorni fa). Il procuratore aggiunto Marco Gianoglio aveva ipotizzato quindi che a quel punto la Città avrebbe dovuto rendere quei soldi, ma non lo ha atto perché Appendino, Rolando e Giordana avevano sostenuto falsamente – secondo l’ipotesi del pm – di avere quelle trattative in corso.