Alle 16.59 del 21 settembre 2020, quando arrivano i primi dati sui voti reali che hanno cominciato ad affluire dai comuni del Veneto, anche i bene informati non nascondono la sorpresa. Va bene che Luca Zaia era predestinato al successo, che i sondaggi lo davano ben oltre il 60 percento dei voti, e gli exit-poll delle 15 lo piazzavano in un arco di voti compreso tra il 70 e il 75 per cento. Ma qui siamo addirittura al 91,4%. Effetto della casualità dei primi seggi che hanno ultimato lo spoglio: il risultato finale sarà ovviamente più basso. Ma è da qui che comincia la cronaca di un successo annunciato. Da quei primi 656 voti a favore del candidato leghista del centrodestra, contrapposti agli appena 30 voti di Arturo Lorenzoni, candidato civico del centrosinistra. Un’ora dopo, alle 17,50, con 19 sezioni scrutinate su 4.751, Zaia è al 79 percento, Lorenzoni è risalito al 13,4 percento, terzo (ma staccatissimo) Enrico Cappelletti dei Cinquestelle. Ovviamente l’oscillazione è destinata a fermarsi su cifre diverse, ma il trionfo è indubitabile, ed è l’atto finale di una campagna diluita nell’arco di sette mesi, giorno dopo giorno, con il presidente Zaia che – a causa dell’emergenza covid – è andato ininterrottamente in diretta Facebook grazie alle conferenze stampa dalla sede della Protezione Civile di Mestre. La sua gestione dell’emergenza gli è valsa una visibilità assoluta, al punto che nei sondaggi meno di un veneto su cinque dichiarava di conoscere chi fosse l’avversario principale di Zaia.
E’ stata una partita giocata a porte chiuse (come negli stadi) e ad un campo solo. Zaia ha stravinto. Per lui il miglior risultato di sempre, per Lorenzoni il peggiore. Nel 2015 il governatore aveva superato di qualche centesimo di punto la soglia del 50 percento, al primo turno, mentre Alessandra Moretti, del Pd, si era fermata al 22,7 per cento. Ma soprattutto sembra aver scavato un solco profondo tra la sua lista personale e quella ufficiale del partito, che porta nel simbolo il nome di Matteo Salvini: era quella la vera posta in gioco in casa leghista. La Lista Zaia è oltre il 50 per cento della coalizione, quella di Salvini a circa un terzo. E questo conferma come il segretario è destinato a soffrire la crescita di popolarità del governatore, il quale si guarda bene dallo sbandierare velleità di assalto al ponte di comando della Lega, ma non può evitare – con la sua voglia di autonomia per il Veneto – di trovarsi in una posizione che potrebbe mettere in difficoltà Salvini e la sua linea sovranista.
Zaia ha lasciato soltanto le briciole agli avversari. E’ la dimostrazione che il Veneto è una regione a vocazione centrista. Un tempo era un feudo democristiano, ma con l’avvento di Silvio Berlusconi e la scomparsa della Dc, è stata Forza Italia a sostituire il nucleo dell’amministrazione politica. Il frutto più maturo, anche se contradditorio, è stato Giancarlo Galan che ha governato ininterrottamente dal 1995 al 2010, concludendo la sua escalation con l’arresto del 2014 per la corruzione dello scandalo Mose. A succedergli proprio Luca Zaia, con una staffetta in cui il leghista prese il posto del forzista e l’azzurro andò a ricoprire il Ministero dell’agricoltura appannaggio di Zaia. Porte girevoli visto che nel 2008 l’attuale governatore si era dimesso da vicepresidente di Galan per entrare nel governo Berlusconi. Dieci anni dopo Zaia ha dovuto dribblare perfino la sua stessa legge regionale: nel 2012 si vantò di essere più all’avanguardia dei Cinquestelle, quando aveva fatto approvare una norma che poneva il limite dei due mandati consecutivi per il presidente della Regione Veneto. Peccato che il calcolo cominciasse solo dal 2015, cioè dal suo secondo mandato: e così il leghista ha potuto presentarsi per la terza volta.
Lo ha fatto con alle spalle la gestione della pandemia che in Veneto ha limitato i danni più che altrove. Protagonista delle conferenze stampa sugli aggiornamenti del contagio, che non sono mai venute meno, neppure in agosto e settembre, in piena campagna elettorale. Molteplici gli spunti trovati per incontrare i giornalisti: dai contagi provenienti dall’estero alla recrudescenza del morbo, dalla scuola che stava per cominciare al problema dei trasporti. Insomma, una partita senza avversari. Ma anche a Venezia, dove si deve scegliere il sindaco, il centrodestra è in vantaggio. Le intenzioni di voto proiettano l’uscente Luigi Brugnaro (lista fucsia) al 49-53 per cento, mentre il sottosegretario Gian Paolo Baretta del Pd sarebbe fra il 29 e il 34 per cento.