Com’è possibile che la realtà si sia ribaltata così clamorosamente? Che i vincitori di ieri siano gli sconfitti di oggi, e i perdenti sicuri i leader di domani?

Progettano occhiali per la visione della realtà aumentata, dilateranno credo l’ampiezza visiva, la cura del dettaglio che l’occhio non coglie. Invece i politici, ma anche noi giornalisti, e naturalmente i sondaggisti, utilizziamo lenti che riducono il visus, ci mostrano una fetta d’Italia e lasciano incustodita l’altra metà.

All’aumentare esponenziale dei talk show, alla dilatazione dei social in un’opinione permanente e definitiva su ogni dettaglio dell’agire pubblico, si va riducendo la capacità di indagare la società, che avrebbe bisogno di un faticoso processo di conoscenza, e si lascia che l’apparenza appaia realtà fino al giorno in cui viene sonoramente smentita.

Così Matteo Salvini due sere fa era a un passo dal fare cappotto e Nicola Zingaretti il cappottato numero uno. Ieri, con una disinvoltura ineguagliabile, abbiamo svolto il ragionamento al contrario senza nemmeno l’ombra di un imbarazzo, un colpo di tosse per dire, ehm, scusate, abbiamo sbagliato.

La realtà invece ci porta in dono ciò che avevamo nascosto.

Vince chi è più credibile nel governo del territorio e non il più performante sui social e in tv.

Salvini perde semplicemente perché il suo messaggio ha perso di verità, di reputazione, cioè di credibilità. Il suo collega e compagno di partito Zaia, all’opposto, ottiene quel che agli altri manca.

Le Marche, per esempio, cambiano governo perché alla prova del nove, la ricostruzione delle aree terremotate, il centrosinistra ha fallito. Emiliano vince perché la Puglia sta meglio, malgrado tutto, di venti anni fa. E’ un fatto, non un’opinione.

Perdere di vista la realtà ci fa smarrire il senso di marcia di un Paese. Può essere, per esempio, il problema più impellente quello di utilizzare i soldi del Mes per la sanità? Assumere come centrale una disfida ideologica intorno a uno strumento dei vari aiuti europei significa nascondere il più grande bisogno che abbiamo: un piano di reclutamento straordinario nella burocrazia di leve capaci di dare un senso e un futuro a questo enorme piano di rilancio, il Recovery.

Bruciare danaro, quando per la maggior parte è in prestito, significa non solo bruciare il governo, che sarebbe il meno, ma bruciare il futuro di tanti. Avremmo bisogno delle energie dimenticate nel grande ventre dell’amministrazione pubblica, di quei tanti funzionari che sanno fare ma non hanno il potere di fare perché fermi al livello basso dell’organigramma. Bravi, audaci ma non cooptati dal potere. E dovremmo costringere la politica a parlare dei fatti, della cruda forma della realtà, dei bisogni e dei meriti, di ciò che manca ed è urgente. Costringere loro a venire a patti con la realtà, a impegnarsi per cambiarla, invece che seguirli nella costruzione di ciò che appare ma non è.

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