Subito dopo il risultato alle urne, il Carroccio ha iniziato a chiedere lo scioglimento anticipato delle Camere: "Non possono eleggere il nuovo capo dello Stato nel 2022". Ma gli ex presidenti della Consulta non sono d'accordo. De Siervo al Corriere: "Si è fatta molta disinformazione sulla riforma". Il collega Mirabelli: "La Corte si è già espressa in passato su casi simili"
Non era nemmeno finito lo spoglio delle schede per il referendum, quando diversi esponenti della Lega nella tarda serata di ieri hanno iniziato a cavalcare l’annunciata vittoria del Sì per chiedere elezioni anticipate. Secondo l’ex viceministro gialloverde Edoardo Rixi, l’attuale Parlamento è stato “delegittimato” dalle urne (dal momento che i cittadini hanno scelto per il taglio degli eletti) e quindi non potrà eleggere il nuovo capo dello Stato nel 2022. Una tesi che però ora viene bocciata da due ex presidenti della Consulta. Secondo Ugo De Siervo, intervistato sul Corriere della Sera, si tratta di una “scemata“: il quarto articolo della legge costituzionale appena approvata, spiega, “dice espressamente che la riforma diventerà efficace dalla prossima legislatura”. La pensa così anche Cesare Mirabelli, che al Messaggero dice: “Nella legislatura in corso il Parlamento non viene toccato dalla legge di revisione della Costituzione”.
De Siervo: “Ora legge elettorale e regolamenti” – La posizione del Carroccio è suonata subito come provocatoria alla maggioranza, uscita vincitrice da questa tornata elettorale. Ma al di là delle motivazioni politiche, è l’ex presidente della Corte De Siervo a fugare ogni dubbio. “Si è fatta molta disinformazione, con dolo, su questa riforma. A cominciare dal ruolo di persone come me”, dice al quotidiano di via Solferino, puntando il dito contro i colleghi di diritto costituzionale che si sono schierati per il No nelle scorse settimane. “Io non mi sarei voluto esporre, ma ad un certo punto sentivo dire che i costituzionalisti erano tutti per il No, e allora noi costituzionalisti che eravamo per il Sì ci siamo contati ed esposti: Onida, Zaccaria, Carlassare, Cheli“.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso, aggiunge, è il rischio di elezioni anticipate in caso di vittoria del Sì emerso durante la campagna elettorale. “Ad un certo punto era venuto fuori pure che se avesse vinto il Sì Mattarella avrebbe dovuto sciogliere le Camere”. De Siervo, a capo della Consulta dal 2010 al 2011, ritiene che “c’è stata una grande campagna per denigrare questa riforma costituzionale, di politicizzarla per demolirla”. A partire da chi, come i dem Zanda e Finocchiaro, si sono battuti per il No nonostante nel 2008 abbiano firmato un disegno di legge “uguale a quello sottoposto adesso a referendum”. Ora che i cittadini si sono espressi, però, bisogna chiarire i prossimi step. “Cominciamo col dire quello che non succederà: niente di tragico“, spiega. Però “bisogna darsi da fare per approvare subito una legge elettorale che ridisegni i collegi elettorali”. Un correttivo indispensabile per garantire la rappresentatività alle prossime elezioni politiche, unitamente a una modifica ai regolamenti parlamentari, “fondamentale per far funzionare la nuova macchina”.
Mirabelli: “Per la Corte il Parlamento resta legittimo” – In un’intervista parallela al quotidiano romano, l’ex presidente Mirabelli sottolinea che “per togliere ogni dubbio, la stessa legge costituzionale con la quale viene ridotto il numero dei componenti della Camera e del Senato, stabilisce che queste disposizioni si applicano a decorrere dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva alla data di entrata in vigore della legge”. Del resto, aggiunge, in più occasioni la Corte costituzionale “ha affermato il principio della legittimità del Parlamento eletto e dei suoi atti anche quando ha dichiarato la illegittimità di alcune disposizioni della legge elettorale con la quale era nato“. Come nel dicembre 2013, quando la Consulta definì incostituzionale il Porcellum, la legge elettorale che aveva regolato le elezioni politiche dal 2006, comprese quelle del febbraio 2013. Da più parti si invocò uno scioglimento del Parlamento, perché eletto con una norma incostituzionale, ma Camera e Senato arrivarono fino a fine legislatura. Secondo Mirabelli, infatti, lo scioglimento delle Camere avviene solo quando “vi sia una crisi politica che non trova soluzione, ad esempio se il Parlamento non riesce ad esprimere un governo, non può funzionare o con evidenza non rispecchia più nuovi orientamenti manifestati dal corpo elettorale in maniera molto larga e del tutto evidente”.