Chiara Ferragni, non c’è dubbio, ci sa fare: non perché sia un influencer con milioni di follower, ma perché – forse animata prevalentemente da auri sacra fames – a suo modo ci sta provando: a sviluppare un’impresa, a creare ricchezza e posti di lavoro, insomma a non starsene con le mani in mano e ad aiutare (se stessa) e il proprio paese.
Per questo – e ci auguriamo non solo per questo – merita tutto il nostro rispetto, la nostra attenzione, merita di essere valutata (personaggio pubblico, che deve molto all’opinione pubblica) serenamente, così come quando prende decisioni da imprenditrice (andare in Borsa), come quando cerca le luci della ribalta con comportamenti a mio parere balzani, dichiarazioni incomprensibili e gesti inutilmente clamorosi.
Non ha terminato l’università, cavalcando le nuovissime modalità di comunicazione dell’epoca di internet sociale fatte di testi e immagini non si sa quanto reali, Chiara Ferragni si è fatta un nome e ha incominciato ad appenderlo alla produzione di oggetti, abbigliamento, scarpe, perfino cibo, che fossero alla moda, in teoria innovativi.
Poi il puro brand Chiara Ferragni è divenuto l’azienda Serendipity. Pur mescolando attività imprenditoriale pura e scelte di vita personali (di cui alcune certamente forse più da censurare che da pubblicizzare), la signora Ferragni ha così incominciato a mettere via un gruzzoletto, arrivando subito a comprendere che per conservarlo o meglio per accrescerlo, non sarebbe stato sufficiente marcare i prodotti con il suo grazioso autografo, ma bisognava mettersi in proprio a produrre, a creare. Si è scelta così dei soci come Mafra della famiglia Morgese, partner come Swinger e ora aspira a fare concorrenza a marchi famosi come Chloé e Kenzo.
Da semplice influencer è divenuta imprenditrice, è scesa dall’iperuranio di Fb per atterrare, dapprima nel mondo della finanza e dell’impresa, finalmente in Borsa, restando peraltro e volendo restare, più un’icona pop che una capitana d’impresa, più simile a Madonna che a Marisa Bellisario.
Il problema, da un punto di vista economico generale, è che negli ultimi decenni il confine tra menzogna sistematica e comunicazione si è sempre più assottigliato (es. Parmalat), per molte imprese anche italiane, cui forse è sfuggito il principio fondamentale che la ricchezza si crea solo con i sacrifici, il lavoro e l’impegno.
Costoro non considerano il prodotto poi così determinante, e anche se in genere la verità viene a galla prima o poi – a volte lasciando morti e feriti (metaforici) tra gli incauti investitori portati a credere agli strilli di Fb come a un’informazione economica che pare abbia perso il senso della parola “indipendenza” – loro “ci provano”.
Il rischio, in altre parole, si sposta dall’interno delle imprese, dalla loro gestione e dai loro investimenti, all’idea di non pochi “imprenditori” (meglio, manager) che si riesca a trarre profitti prevalentemente dalle «balle spaziali», sempre in crescita, con cui si gonfiano i bilanci (spesso «revisionati» come sappiamo), con cui si abbeverano e si sfamano i consumatori non casualmente ignari.
Sicché a guardare i conti anche recenti della Ferragni, non c’è molto da ridere. Il 2019, ovviamente, si è chiuso per Serendipity con i ricavi in calo, ma già i precedenti utili del 2018 erano ben magri, da pizzeria di famiglia più che da regina di Vogue (193 mila euro). Le attività complessivamente restano troppo poche, anche nelle migliori ipotesi si prevede un 2025 con “solo” 15 milioni di ricavi e un utile (ambizioso!) di poco più di 4 milioni, insomma numeri da piccola srl, insufficienti per poter resistere a qualche eventuale bufera, a qualche sempre possibile scelta errata.
Ma soprattutto, dove tali piccole dimensioni risultano del tutto stridenti è al cospetto dello spazio concesso dai mezzi di comunicazione, nel momento in cui la rilevanza quasi trascurabile di un’attività economica con fatturati così limitati, non giustifica inspiegabilmente lo spazio che le viene riservato (e a volte nell’inspiegabile si insinuano progetti speculativi, non lodevoli per consumatori e risparmiatori). Insomma, qualche cautela, qualche lustrino in meno sarebbe gradito attorno al nome e al phisique du rôle della signora.
Senza essere sessisti ovviamente, oltre gli attributi personali, nel mondo delle imprese, ci vuole qualcos’altro e (sorry!) … è solo su quest’altro che si fondano le speranze dell’economia italiana, degli italiani cittadini e consumatori