di Marco Marangio

“Si può fare”, citando il Frankenstein Junior di Mel Brooks. Nessuna calamità politica a causa della vittoria del Sì, nessuna conquista leghista da parte di Matteo Salvini (grazie al voto disgiunto). Gli esiti di lunedì, fra elezioni regionali e referendum costituzionale, ci dicono almeno un paio di cose.

Innanzitutto che l’Italia raccontata dal grande giornalone unico non è l’Italia reale. È un’Italia fittizia, immaginata solo dalla fantasiosa narrazione dominante. Il secondo aspetto è che gli elettori sono più saggi degli eletti. Ciò che è accaduto in Puglia ne è l’esempio.

Sono stati proprio gli elettori a punire la leader pentastellata Antonella Laricchia che non ha voluto un confronto di intenti con Michele Emiliano, men che meno ha voluto suggerire il voto disgiunto. L’esempio circoscritto della Puglia, in particolare, offre una lettura più ampia su quello che potrebbe accadere al Movimento Cinque Stelle sul fronte nazionale.

Nonostante la votazione sulla piattaforma Rousseau abbia messo nero su bianco che gli elettori pentastellati sono favorevoli ad un dialogo con altre forze politiche vicine al M5S, pare che non tutti i leader siano d’accordo. Antonella Laricchia ne è stata “portavoce” (per usare un termine caro al lessico grillino) seguita dalla senatrice Barbara Lezzi e dall’eurodeputato Mario Furore.

La domanda sorge spontanea: quanti altri leader del Movimento sono disposti a seguire questa direzione “ostinata e contraria”? Il potenziale cortocircuito del Movimento è proprio qui. Il movimento, per la prima volta dalla sua fondazione, non andrebbe contro i poteri forti, la casta e l’establishment, ma contro la sua stessa base elettorale.

È questo il motivo principe del congresso richiesto maldestramente da Alessandro Di Battista qualche mese fa. Lo stesso Di Battista che ha chiuso a Bari la campagna elettorale pentastellata, invitando la base a votare non solo la lista ma soprattutto la persona Antonella Laricchia, mettendo così al bando l’ipotesi del voto disgiunto. Che sia stato proprio Di Battista a farlo, dopo mesi di totale silenzio politico, non è un caso. Tale scenario può essere sintomatico di un fatto: la divisione del Movimento potrebbe essere dietro l’angolo.

Luigi Di Maio, infatti, per quanto non abbia speso molte parole sul voto disgiunto, al tempo stesso non ha neanche disdegnato quanto fatto da Di Battista. Ora il Movimento è diventato un partito a tutti gli effetti. Deve però comprendere cosa fare “da grande”. E lo deve capire al più presto, pena il disdegno totale da parte dei suoi elettori, sicuramente molto più saggi e intellettualmente onesti di alcuni suoi eletti.

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