Ci sono luoghi nel pianeta dove una combinazione tra morfologia della costa e intensità di correnti e maree crea delle vere e proprie trappole per i cetacei che si avventurano nei paraggi. Se poi i cetacei sono specie come i globicefali (per favore non chiamateli “balene pilota”), grossi delfini con la testa tipicamente arrotondata che vivono e si muovono in comunità spesso di centinaia, la situazione può trasformarsi presto da drammatica in catastrofica, come nel recente evento avvenuto sulla costa occidentale della Tasmania, tuttora in corso.

Alla notizia di ieri, che un branco di 270 globicefali si è spiaggiato in quell’area, se ne aggiunge ora un’altra che segnala la presenza, poco più in là, di un altro gruppo di 200. Se confermato, si tratterebbe nell’insieme dello spiaggiamento più imponente mai registrato in Australia, e uno dei più grandi di cui si sappia.

Navigare in condizioni difficili può essere una sfida per un globicefalo isolato, ma non difficile da affrontare vista l’agilità e la forza di questi animali; tuttavia navigare in condizioni precarie cercando di mantenere l’integrità di un gruppo di svariate decine, se non di centinaia di individui, può diventare impossibile; e l’insorgere di un problema anche modesto può scatenare il panico, in cui è più facile che prevalga la spinta a rimanere coesi su quella di salvarsi individualmente.

La vista di centinaia di questi animali miseramente spiaggiati, morenti e sofferenti, ha un forte impatto emotivo sulle persone e, come sta avvenendo in questo caso, scatena uno sforzo massiccio per prestare loro soccorso, non solo da parte di volontari ma anche di personale delle agenzie di governo. Aiutare gli animali in questi casi è comunque molto difficile, e quando va bene se ne riesce a rimettere in mare una parte minima; la struttura sociale del branco ne esce malconcia.

Fortunatamente si ritiene che questi fenomeni di spiaggiamento, per massicci che siano, non costituiscano una minaccia per la sopravvivenza della specie, abbastanza in buona salute nell’Emisfero australe. Ma vedere tanta sofferenza spezza il cuore agli astanti e scatena un impulso di solidarietà inter-specifica che spinge a fare qualcosa, per quanto poco questo qualcosa possa essere.

Occorrerebbe adesso che tale impulso si estendesse in maniera più diffusa nella società umana, per evitare che non centinaia, ma centinaia di migliaia di cetacei ogni anno, alcuni appartenenti a specie veramente minacciate di estinzione, facciano una fine simile a quella dei globicefali della Tasmania – ma nelle reti da pesca.

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