Stadio San Siro, ore 14. Manca un’ora al fischio d’inizio. Le file davanti ai 15 gate sfiorano il chilometro, snodandosi verso piazzale Lotto e via Novara. Molti arrivano con l’auto privata, altrettanti si affidano alla metropolitana che finisce la corsa a poche centinaia di metri dalle porte d’ingresso. Tre ore più tardi, la scena è simile ma spezzettata: fuori in mille alla volta e gli altri in ordinata attesa al proprio posto aspettando che gli steward tolgano i “sigilli” di settore in settore, fino a quando gli oltre 15mila spettatori non saranno tutti fuori dalla pancia del Meazza.
“Ce li vede mille tifosi che aspettando seduti fino al momento in cui non toccherà a loro lasciare gli spalti? Abbiamo risposto molto bene all’osservanza delle regole anti Covid, ma restiamo sempre italiani”. Ferruccio Taroni è il presidente di Andes, l’Associazione nazionale delegati alla sicurezza che raccoglie gli oltre 30mila steward e Delegati alla gestione evento. Sono giorni in cui continua a far di conto, simula, ipotizza e disegna scenari: “Dobbiamo evitare l’effetto discoteca, rischiando di chiudere subito dopo per accontentare la parte economico-commerciale”, dice e ripete di fronte all’ipotesi sempre più concreta che arrivi il via libera alla riapertura al pubblico degli eventi sportivi con una capienza massima di stadi e palasport fissata nel 25%.
L’ultimo passo lo ha compiuto la Conferenza delle Regioni, approvando un protocollo che va proprio in questa direzione: mascherina, temperatura misurata all’ingresso, solo posti a sedere. “Il problema principale sono i tempi, è tutto molto complicato”, è il tormento di Taroni. Perché poi in prima linea ci andranno gli steward. Saranno loro a doversi sporcare le mani – anche letteralmente – per garantire che tutto fili liscio. Insomma, a vigilare sul rispetto delle regole. Facile a dirsi, più complicato mettere in pratica le linee guida.
“È giusto programmare, ma non è il momento di riaprire. Aspetterei almeno altre due settimane, quando vedremo gli effetti della riapertura delle scuole e delle attività economiche che stanno tornando a pieno regime dopo l’estate”, suggerisce il professore Massimo Galli, infettivologo dell’ospedale Sacco. “I Paesi attorno a noi hanno gravi problemi, i nostri nuovi casi non stanno declinando. Il calcio lo seguo e gli stadi vuoti mi deprimono, così come mi è chiaro che c’è un indotto che si muove attorno al pallone. Ma se devo essere intellettualmente onesto, almeno per un altro po’ serve ancora cautela”, dice Galli a Ilfattoquotidiano.it.
Il problema principale, non solo secondo il professore, è legato all’afflusso e a deflusso in grandi stadi come il Meazza, l’Olimpico di Roma o il San Paolo di Napoli, ma anche in impianti più piccoli, costruiti nelle periferie e senza ampi spazi all’esterno. Senza contare la differenza di capacità organizzativa e risorse manageriali ed economiche a disposizione dei grandi club e quella nelle mani di piccole società nelle serie minori, ma magari con stadi da oltre 10mila posti a sedere, privi di seggiolini e con un numero inferiore di ingressi.
È per questo che l’Andes parla di situazione “molto complessa” già ora con 1.000 spettatori come tetto massimo: “Mille tifosi a San Siro non possono avere lo stesso impatto che hanno, per esempio, a Carpi – spiega Taroni – Sono strutture completamente diverse che hanno mezzi differenti per poter accogliere mille tifosi”. Squilibri che la nuova strategia della capienza del 25% rischia di amplificare. L’elenco delle problematiche da affrontare nel dettaglio è assai lunga per l’Andes, che in ogni caso giudica un “fattore positivo” la riapertura. Ma mette in fila i nodi da sciogliere.
Ad iniziare dalle possibili “divergenze” nelle normative tra Regione e Regione, “che complicano il lavoro di chi deve organizzare la sicurezza”. Il Lazio guidato da Nicola Zingaretti, ad esempio, si è già detto contrario all’ipotesi del 25% di capienza. Ad oggi, fa notare Taroni, “in alcuni stadi la distanza tra tifosi deve essere calcolata tra i seggiolini, in altri tra le spalle dei tifosi, in altri ancora il metro di distanza deve essere considerato tra la bocca dei due tifosi”. Quindi entra nei dettagli operativi, ad iniziare dai tempi e dalla gestione dei “blocchi” da 1.000 spettatori ipotizzati in questi giorni: “Una stima prudente mi porta a dire che ci vorrà almeno mezz’ora per svuotare uno stadio di grandi dimensioni. Facile immaginare come finirà: chi è nel settore che dovrà uscire per ultimo si ammasserà verso le porte d’ingresso in attesa del via libera”.
All’ingresso il problema sarà opposto, la gestione del flusso in attesa della vidimazione del biglietto: “I tempi saranno non veloci. Oggi, senza distanze da rispettare, parliamo di 13 persone al minuto da ogni tornello”, ragiona Taroni. E subito puntualizza: “Dopo ogni passaggio cosa accadrà? Dovremo sanificare il tornello che nella maggior parte dei casi non è automatico? Più si scende nei particolari, più si trova una sfumatura da risolvere”. Per dire: l’identificazione degli spettatori, visto che i biglietti sono nominali. “La normativa prevede il controllo del documento d’identità e dell’effettivo fruitore del tagliando. Ad oggi è vietato entrare con il volto travisato. Significa, stando alle regole, che dovremmo chiedere di togliere la mascherina”.
E ancora: “Alcune squadre che seguo sono preoccupate dagli afflussi nelle toilette all’intervallo delle partite. Stesso discorso per i punti ristoro. Non è pensabile chiuderli, quindi ci dicano come vanno gestiti”. All’orizzonte Taroni vede anche un’ulteriore criticità: le curve. “Se i gruppi organizzati decidessero di entrare negli stadi, sarà certamente più complicato far rispettare il distanziamento rispetto ad altri settori”.
Mentre il ministro della Salute Roberto Speranza continua a predicare pazienza e ribadire “non è il momento”, venerdì dovrebbe essere il Comitato tecnico-scientifico a pronunciarsi sul documento delle Regioni. Un vaglio atteso con il fiato sospeso innanzitutto dai club: solo per la Serie A gli incassi da botteghino valgono 400 milioni di euro a stagione. Ma in ascolto restano anche le aziende di trasporto pubblico. Perché 15mila persone in un unico posto in qualche modo dovranno arrivarci.
Da Atm trapela che al momento non esiste un piano perché la società che gestisce metro, bus e tram a Milano non è stata coinvolta nella stesura di strategie legate alla ripresa di grandi eventi. Nella stazione della M5 a San Siro c’erano già in epoca pre-Covid i blocchi all’ingresso per evitare assembramenti in banchina al termine di partite e concerti – spiegano da Atm – e da maggio tutte stazioni della metropolitana hanno lo stop automatico dei tornelli quando si raggiunge il numero massimo di persone a bordo dei convogli.
“Se si concentrano 15mila persone all’ingresso e all’uscita e anche se le si diluisce, in qualche modo comunque in certi posti devono arrivarci”, fa notare Galli. Se tutti potessero arrivarci su mezzi privati, “il problema sarebbe più l’inquinamento e il traffico“, evidenzia l’infettivologo dell’ospedale Sacco. Se invece ci si va con i mezzi pubblici, potremmo risparmiarci questo. Almeno finché non siamo più sicuri”.
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