Squilla un altro telefono, voci in sottofondo. “E’ il mio avvocato, dice che non devo parlarle con lei e rilasciare altre dichiarazioni”. Ma invece parla Lorenzo Rocca, l’esaminatore dell’Università di Perugia che il 17 settembre ha svolto il colloquio d’italiano a Luis Suarez finito al centro di un’inchiesta che non smette di suscitare polemica. Agli ispettori della Finanza il responsabile del centro di valutazione linguistica dell’Ateneo ha negato qualsiasi irregolarità. Dopo giorni concitati, al telefono confida ora di aver sentito la pressione su quel giudizio: “Sì, mi sentivo un po’ messo in mezzo. Non era una situazione standard”.
Milioni di tifosi avrebbero fatto volentieri cambio con lui quel giorno, oggi probabilmente nessuno. Rocca, indagato insieme ai vertici dell’università, figura nella vicenda come il “facilitatore”, il suggeritore occulto, insomma come l’uomo che avrebbe materialmente realizzato il disegno che la Procura di Perugia ritiene criminoso: falsare la prova di Suarez per consentire al campione di presentarsi ai club europei con quel certificato in tasca, dunque con la garanzia di mettere piede in campo. “E’ stato traumatico vedersi sequestrare il telefono e il computer, essere interrogato come un delinquente per una vicenda che non ha nulla di illecito né di scorretto”.
Torniamo a quel colloquio, alle presunte facilitazioni a Suarez. “Qui c’è un equivoco di fondo che la pubblicazione di stralci di intercettazione non permette di chiarire, ma semmai alimenta”. Tipo? “Tipo che Suarez avrebbe parlato solo all’infinito. E’ una frase giustamente non attribuita a me, perché io ero lì con un collega e in 12 minuti ricordo benissimo che abbiamo ascoltato frasi con altri tempi verbali. Certo non il periodo ipotetico col trapassato ma non è previsto dal livello che è intermedio-basso, il terzo in una scala di sei. Ecco, siccome ci sono state tante intercettazioni ambientali mi auguro che la prova sia stata registrata nella sua interezza”.
Ma ci sono quelle frasi tra lei e la tutor di Suarez, sembra che i contenuti e perfino il voto della prova li abbiate stabiliti due giorni prima che si svolgesse. “Assolutamente no. Lo ribadisco: la prova non è stata preparata a tavolino né falsata. Non c’erano, come si è letto, tracce segrete o domande anticipate. Io ho stesso ho mostrato ai finanzieri la documentazione preparatoria presente sul sito perché quelli sono stati usati. Tra quelli ci sono temi e immagini che il tutor è tenuto a scegliere per mettere a suo agio il candidato, cosa che viene fatta in accordo con l’esaminatore per Suarez come per qualsiasi migrante meno noto”. Ad esempio “se durante la presentazione la persona mi dice che ha un bambino di 8 anni che va a scuola in Italia allora l’osservatore silente seleziona immagini di scuola primaria e su quello verteranno le domande, proprio per replicare esperienze realmente vissute”.
Scusi, ma vuol farci davvero credere che l’esame a Suarez sia stato come quello di tutti gli altri extracomunitari? “Guardi lo dico a lei come ho fatto coi finanzieri. Io non avevo alcun vantaggio a facilitarlo. Forse l’ateneo perché avrebbe avuto un ritorno d’immagine, pensando che qualcuno avrebbe potuto dire “ecco, là lavorano in un certo modo, facciamolo anche noi“. E la telefonata tre giorni prima della prova alla rettrice? “E’ vero, nelle intercettazioni c’è quel passaggio finale dell’unica telefonata che mi sono sentito di farle. Chiudendo la conversazione, ho detto: qui come faccio faccio male, e voglio dire comunque mi sentivo un po’ messo in mezzo e quindi… avendo chiarito ai magistrati che non mi è arrivato alcun dicktat o indicazione esplicita tipo “guarda deve superare quella prova”. Però la pressione comunque… era una situazione non standard”.
Affiora l’amarezza. “Se ha visto il mio cv dal 2006 mi sono occupato in maniera piena del contesto migratorio, ho fatto dell’etica dell’integrazione linguistica l’obiettivo da proseguire proprio per agevolare il percorso di inclusione sociale dei cittadini migranti. Sia a livello italiano che europeo, e infatti ho partecipato a gruppi di ricerca con il Consiglio d’Europa finalizzati all’integrazione e non all’esclusione. Al Viminale mi sono speso in rappresentanza dell’Ateneo perché l’esame linguistico non fosse solo uno strumento per negare la cittadinanza, un mero sbarramento nella gestione dei flussi. Ci siamo capiti. Ecco, tutto ora viene oscurato da un episodio dove non c’è danno erariale, non c’è contropartita o utilità. Sembra di gettare 15 anni buoni di ricerca e fatiche”.