Il titolare dell'inchiesta sulla morte del giovane romano dice in aula che alcuni documenti depositati dalla difesa di Testarmata non erano stati formalmente richiesti: "Questa storia va avanti da 11 anni, siamo stanchi. Vogliamo identificare i responsabili". Su chi e quando abbia passato questi atti, la procura di Roma disporrà alcuni accertamenti. L'avvocato Anselmo: "C'è un Giuda, un cavallo di Troia che lavora per verità parziale e fuorviante"
“Ancora oggi, nel 2020, nel reparto operativo dei Carabinieri c’è qualcuno che passa gli atti a qualche imputato. Siamo stanchi di questi inquinamenti probatori che vanno avanti da 11 anni e vogliamo identificare gli autori”. Giovanni Musarò, il pm romano che ha seguito il caso Cucchi, non ha dubbi: ancora oggi è in atto “un inquinamento probatorio”. E lo ha detto chiaramente in aula durante il processo a carico di otto militari dell’Arma, tra ufficiali e carabinieri, per il depistaggio delle indagini sulla morte, nel 2009, di Stefano Cucchi. Il magistrato si riferiva ad alcuni documenti depositati la scorsa udienza dal difensore di uno degli imputati e che non erano stati richiesti formalmente. Su chi e quando abbia passato questi atti, la procura di Roma disporrà alcuni accertamenti. E così presto potrebbe essere aperto un ulteriore fascicolo: i magistrati capitolini stanno infatti ragionando sulla possibilità di avviare una ulteriore indagine.
“Il pm Giovanni Musaró si alza e denuncia depistaggi in atto e documenti in possesso all’imputato Testarmata che non poteva avere. C’è un Giuda, dice il pm, un cavallo di Troia che speriamo di identificare che fornisce atti e documenti per una verità parziale e fuorviantè”, ha scritto in un post su Facebook, l’avvocato Fabio Anselmo, difensore della famiglia Cucchi. “Come dire – conclude il post – non abbiamo finito e non finiremo mai di subire interferenze illecite”. “All’udienza scorsa mi ero molto arrabbiato per il modo di procedere della difesa Testarmata soprattutto – spiega il legale dei Cucchi – in possesso di documenti che non erano nel fascicolo. Mi ero opposto alla loro produzione ed utilizzo chiedendo esplicitamente lumi sulle modalità con le quali ne era venuto in possesso. Avevo ragione”.
Il processo vede imputati 8 carabinieri: Luciano Soligo, maggiore al comando della compagnia Roma Montesacro, Francesco Cavallo, allora tenente colonnello e capo ufficio del comando del Gruppo Roma, Massimiliano Colombo Labriola, che era comandante della stazione di Tor Sapienza, e Francesco Di Sano, in servizio nella stessa stazione.
Oltre a loro quattro sono sotto accusa – a vario titolo e a seconda delle posizioni di falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia – anche il generale Alessandro Casarsa, all’epoca dei fatti comandante del Gruppo Roma, Lorenzo Sabatino, allora comandante del reparto operativo dei carabinieri di Roma, Tiziano Testarmata, comandante della quarta sezione del nucleo investigativo dei carabinieri, e Luca De Cianni.
Per la morte di Cucchi nel novembre del 2019 la corte d’Assise di Roma ha condannato i carabinieri Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo a 12 anni per omicidio preterintenzionale. Con l’accusa di falso vennero condannati il maresciallo Roberto Mandolini, a 3 anni e 8 mesi, e il carabiniere Francesco Tedesco, a 2 anni. Quest’ultimo è il super testimone che nel 2018 decise di raccontare quanto aveva visto nella caserma Casilina, dove avvenne il pestaggio, poco dopo che Cucchi era stato fermato il 15 ottobre del 2009: morirà una settimana dopo.