Oltre metà della vita l’ha passata in carcere: 32 anni dietro le sbarre per mafia e omicidi, mai una sola parola sul gruppo di fuoco della Sacra corona unita né sulle guerre di mala. Tanta buona condotta e progetti di rieducazione sociale: la redazione di un giornale, gli incontri con i ragazzi delle scuole. Giovanni Donatiello, 59 anni, di Mesagne, in provincia di Brindisi, era entrato in carcere a 24 anni, nel 1986 ed è tornato in libertà agli inizi del 2018. Sembrava essersi scrollato di dosso il passato di commistioni con la malavita organizzata salentina che avevano contraddistinto la sua “precedente vita”. Restava tutto lì, in quel soprannome da boss, Cinquelire, lo stesso, immutato, che ricorre ora in una nuova misura cautelare.

Donatiello è invece ritornato in carcere venerdì mattina, l’accusa mossa nei suoi confronti nell’operazione “Old Generation”, vecchia generazione appunto, è quella di non aver mai smesso di essere un capo del clan che gestisce gli affari sporchi a Brindisi e nei comuni limitrofi. Il clan dei “tuturanesi”, storicamente legato al nome di Pino Rogoli, il fondatore della Scu di cui è stato definito il braccio destro.

E sempre al fianco di Francesco Campana, altro storico elemento di vertice che invece è detenuto ad Opera e nonostante il regime di 41 bis avrebbe continuato a gestire i propri affari e quelli del gruppo, anche per il tramite della moglie. Due anni dopo la scarcerazione, insomma, l’ergastolano che aveva ottenuto uno sconto di pena per questioni meramente formali e che sembrava essersi rifatto un esistenza pulita lavorando, pur da sorvegliato speciale, in un’autocarrozzeria, è ritornato in cella.

Accusato di aver “autorizzato” persone a lui vicine a riscuotere “il pensiero” per gli altri sodali, una cifra in denaro necessaria al sostentamento di chi si trova in carcere. Una ‘specialità’ della malavita organizzata. Sono 19 in tutto gli indagati nell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Lecce, guidata dal procuratore capo Leonardo Leone De Castris: in otto sono finiti in carcere, per altri 5 è stata disposto disposto l’obbligo di firma.

Il centro degli interessi del gruppo sarebbero state estorsioni ad imprenditori e commercianti. Oltre che la gestione del business dei parcheggi abusivi nei pressi dell’ospedale. Un giro d’affari da 80 euro al giorno in epoca pre-covid, dimezzato durante il lockdown, secondo quanto risulta agli investigatori della Squadra mobile di Brindisi, guidati da Rita Sverdigliozzi, e alla Direzione distrettuale antimafia.

Donatiello, dal suo posto di lavoro in cui avrebbe continuato a incontrare gente organica al sistema, avrebbe garantito placet e disposizioni. Nonostante il lungo periodo di detenzione, gli otto anni in regime di carcere duro. Nonostante l’università frequentata a Padova, facoltà di Scienze Politiche, gli articoli per il giornale “Ristretti orizzonti” e la partecipazione al progetto “Il carcere entra scuola, le scuole entrano in carcere”. Si trattava di incontri con gli studenti, una media di 70-80 ragazzi per ogni sessione svolta in auditorium, durante tutto l’anno scolastico.

E poi i corsi di inglese, meditazione e yoga, le partite di calcetto, le battaglie per restituire dignità ai detenuti. Ottima condotta, insomma, ma mai un segno di pentimento. L’impressione di voler cambiare vita spazzata via, ad avviso degli inquirenti, da una inchiesta – racchiusa in 500 pagine di ordinanza tra dichiarazioni dei pentiti e intercettazioni telefoniche – in cui gli viene ancora una volta attribuito il titolo di “boss”. Avrà modo di difendersi nel corso dell’interrogatorio di garanzia. “Se qualcuno pensava di essersi liberato di alcuni cancri, come lo è la Scu – ha detto il questore di Brindisi Ferdinando Rossi – si sbagliava. Non ci sono bombe, omicidi, la criminalità organizzata non è quella degli anni ’90, ma è ancora pervasiva. E chi ha percorso una strada, difficilmente ne imbocca una diversa”.

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