I fischi dalle tribune piovono giù come schegge di vetro. Gli si conficcano nelle orecchie, accelerano il suo battito. Roberto Baggio sistema il pallone sul dischetto del rigore e alza lo sguardo. Per un attimo rimane fermo a guardare quella porta così piccola e quella sfera così grande. Nessuno si aspettava di vederlo lì. Con addosso una sciapa maglietta bianca dell’Adidas e con la fascia di capitano stretta intorno al braccio. Eppure quella del 16 agosto 2000 è la serata più importante della sua estate. Il fischio dell’arbitro lo trascina indietro alla realtà. Roberto Baggio fissa il portiere della Francia e prende la rincorsa. Un passo, due passi, tre passi, quattro passi. Poi apre il piatto destro e spedisce la palla in fondo al sacco. Gol. Un gol inutile in una partita inutile. Perché in quella serata si gioca un’amichevole fra la Francia campione d’Europa e il resto del mondo. E i Bleus vincono per 5-1.
Roberto Baggio è il capitano delle stelle della Fifa. Un’accozzaglia di giocatori che si conoscono poco e che hanno ancora meno voglia di rovinare la festa agli avversari. A fine partita qualche giornalista italiano ferma il Codino e gli domanda quali sono le sue sensazioni. “Sono ancora amato – risponde Baggio – almeno lontano dall’Italia“. Una frase che fa discutere. Perché è vera. Nell’estate del 2000 il fantasista si trova senza squadra. L’Inter di Marcello Lippi l’ha scaricato. Anche se solo qualche mese prima i nerazzurri avevano avuto un bisogno disperato dell’ex pallone d’oro: a maggio una doppietta aveva spazzato via il Parma nello spareggio per un posto in Champions League.
Tre mesi più tardi la situazione è completamente diversa. La convivenza è ormai impossibile. Moratti deve scegliere. O Lippi o Baggio. E il presidente butta giù dalla torre il codino. “Molto sinceramente, il contratto di Baggio è scaduto e Moratti non mi ha mai detto di volerglielo rinnovare – dice soddisfatto l’allenatore nerazzurro – Baggio non ha mai fatto parte dei programmi futuri”. All’improvviso il fantasista si ritrova senza squadra. È costretto ad allenarsi da solo, a sudare senza poter scambiare una parola con uno che non sia Quique Miguel, il suo preparatore atletico. Lavorano insieme quattro ore al giorno. Tutti i giorni. Il codino stringe i denti e non smette di correre. Anche durante le sue vacanze in Argentina. Ripete di non aver fretta, garantisce di essere tranquillo. Eppure il telefono non squilla quasi mai.
Di voci, invece, ne circolano parecchie. Qualcuna è vera, la maggior parte è messa in giro da chi cerca un po’ di pubblicità. Il primo club a farsi avanti è il Genoa, ma Baggio non ha nessuna intenzione di accontentarsi, di scendere in Serie B. Poi arriva l’Udinese. Sembra la squadra perfetta. Non è troppo lontana da casa, a Caldogno, potrebbe partecipare alla prossima Coppa Uefa, metterebbe sul piatto la maglia numero 10 che fu di Zico. Qualcuno prova a mettere in piedi una trattativa, ma l’affare con il club dei Pozzo si impantana quasi subito. Anche la Fiorentina si fa viva. Sarebbe un lieto fine da favola. Sarebbe una pace siglata dopo una guerra lunga dieci anni. I sogni di Cecchi Gori non durano molto. Fatih Terim non è convinto. Vuole puntare sui giovani. Vuole poter contare su giocatori che corrono e obbediscono.
La situazione diventa piuttosto ingarbugliata. Barcellona, Tottenham, Arsenal, Valencia, Deportivo e Borussia Dortmund seguono la situazione, ma solo a parole. Anche perché Baggio non è convinto di andare all’estero. Non vuole lasciare la famiglia. Vuole continuare a giocare sotto gli occhi di Trapattoni, il nuovo tecnico della Nazionale. Perché il suo obiettivo è ormai chiaro a tutti: giocare i Mondiali del 2002. La pista più concreta porta a Reggio Calabria. Il presidente Lillo Foti sta facendo di tutto per convincere il giocatore. Tanto che ha comprato per il fantasista un biglietto sull’aereo che il 31 luglio porterà la Reggina in ritiro. Baggio è colpito ma resta perplesso. L’ingaggio non è alto. E poi Reggio è a 1200 chilometri da Caldogno. Troppo lontano. Soprattutto per chi ha passato una carriera intera a viaggiare.
Il 20 luglio un vigile urbano si affianca a un ragazzo seduto su una moto sotto lo studio di Moratti. Per riconoscerlo gli serve qualche secondo. Perché quella sagoma abbronzata con i sandali e il costume da bagno è proprio l’ex fantasista nerazzurro. “Lei è un fenomeno – dice il vigile – ma il casco deve allacciarselo lo stesso”. Poco dopo Baggio sale e ascolta la proposta di Moratti. Non si tratta di un nuovo contratto, ma della possibilità di tornare all’Inter dopo il ritiro. Magari come direttore del settore giovanile del club. Il Codino ascolta e ringrazia, saluta e assicura che si rifarà vivo lui. La proposta lo lusinga, ma la sua carriera non è ancora finita. Qualche giorno dopo si apre un’altra pista. E porta dritto a Napoli. Pare che gli azzurri abbiano già pronta un’offerta di contratto. Solo che Zdenek Zeman non vuole neanche sentir parlare di questa operazione.
A forza di sfogliare la margherita, Baggio rischia di restare senza petali in mano. Il 10 agosto il Codino gioca la sua prima amichevole estiva. Allo stadio Lunezia di Pontremoli, vicino Massa Carrara, la Nazionale Cantanti sfida la Lunigiana Sweet Home All Star per aiutare l’Associazione Italiana per la Sclerosi Multipla. Baggio scende in campo regolarmente. Come se fosse già una mascotte. Come se il suo ritiro si fosse già consumato. Una settimana più tardi arriva la partita contro la Francia. “Sono disoccupato – dice – è una sensazione strana, mai provata”. E ancora: “Io non mi svendo per mille lire. Che sono triste lo pensate voi. Non è affatto un momento negativo, io sono sereno, vedo i miei figli tutti i giorni e scoppio di salute. Mi manca solo il pallone”. E Baggio dovrà ancora aspettare.
Almeno fino a metà settembre. Il 13 arriva l’annuncio. Il Codino vestirà la maglia del Brescia di Corioni. L’esordio è fissato qualche giorno dopo, in Coppa Italia. Contro la Juve. Il club convoca in sede Massimiliano Esposito e gli comunica che la Lega ha accettato la richiesta del club. Il numero 10 non sarà più sulle sue spalle, ma su quelle di Baggio. La scalata alla Nazionale riparte dalla provincia. “Io non mi sento declassato – dice durante la presentazione- in provincia ci sono cresciuto”. I cronisti mitragliano una domanda dopo l’altra. “Mi sono posto l’obiettivo di partecipare lo stesso ai Mondiali del 2002. So che qualcuno mi riterrà patetico – dice – Mazzone è considerato un sergente di ferro ma io non ho mai avuto problemi con nessuno. Semmai erano i miei allenatori che soffrivano la mia personalità“.