Emergenza Covid-19 e rifiuti, di male in peggio.
Mentre si mette una toppa per rimediare in tutta fretta ad un clamoroso errore legislativo, viene fuori un’altra disposizione peggiorativa. Ma andiamo con ordine. Avevo già riferito, su questo blog, dell’assurda disposizione introdotta nel decreto Cura Italia da un emendamento Fi, che, con il pretesto dell’emergenza, aveva aumentato in via definitiva, cioè per sempre, a prescindere dalla Covid, i limiti quantitativi e temporali fissati per il deposito temporaneo di rifiuti, il deposito cioè dei rifiuti presso il luogo di produzione per il tempo strettamente necessario all’avvio a smaltimento o recupero e che, proprio per questa provvisorietà, in Italia può essere effettuato liberamente, in deroga alla regola comunitaria per cui ogni operazione di gestione di rifiuti deve essere preventivamente autorizzata dall’autorità competente.
E, pertanto, con questa bella novità – votata dal Parlamento con l’entusiastica approvazione del Ministero dell’ambiente – un’azienda poteva tenere in deposito fino a 60 metri cubi di rifiuti, di cui 20 pericolosi, senza autorizzazione, senza darne conto a nessuno e, praticamente, senza controlli (anche e soprattutto sulle quantità) e senza tracciabilità, addirittura per un anno e mezzo. Senza rischiare niente se poi, in questi 18 mesi, i rifiuti scomparivano e, magari, finivano illecitamente in qualche capannone, in qualche discarica abusiva, nella terra dei fuochi, in terreni destinati all’agricoltura o in qualche rogo tossico.
Ebbene, due mesi dopo, a seguito di una interrogazione di Loredana De Petris (Leu) e di un duro e sacrosanto intervento della Commissione parlamentare ecomafia, il Parlamento, su inziativa dell’on. Vianello (M5s), faceva marcia indietro e, con il decreto Rilancio, abrogava seccamente questo assurdo regalo all’ecomafia. Ma intanto, nello stesso decreto, si introduceva un’altra disposizione peggiorativa. Si stabiliva, infatti, che, “in caso di abbandono di mascherine e guanti monouso si applica la sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’articolo 255, comma 1-bis, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”.
Cioè la stessa sanzione minima (50 euro se si paga entro 60 giorni) prevista per chi butta mozziconi, scontrini, fazzoletti di carta e gomme da masticare; cioè, la metà della sanzione prevista in via ordinaria per l’abbandono di rifiuti da parte di privati, che si raddoppia se si tratta di rifiuti pericolosi. Ed è proprio questo il vero assurdo. Perché la nuova disposizione non considera affatto che, secondo la legge, tutti i rifiuti che “provengono da ambienti di isolamento infettivo e siano venuti a contatto con qualsiasi liquido biologico secreto od escreto dai pazienti isolati” sono considerati rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo; e certamente rientrano in questa categoria tutti i rifiuti, inclusi mascherine e guanti monouso, utilizzati da persone contagiate o in quarantena per Covid-19.
Insomma, in deroga alla disciplina ordinaria, è stata introdotta per l’abbandono di mascherine e guanti usati la sanzione minima prevista per rifiuti “minimi”; anche se si tratta di rifiuti pericolosi per contagio.
Ma c’è di più. Perché in questo modo si azzera anche il disposto della legge ordinaria che prevede addirittura sanzioni penali se i rifiuti abbandonati provengono da attività lavorative (si arriva all’arresto fino a un anno che si raddoppia fino a due anni se si tratta di rifiuti pericolosi), come le mascherine e i guanti forniti ai dipendenti dai datori di lavoro. Si fa, insomma, di tutta l’erba un fascio: 50 euro e tutto a posto.