di Andrea Taffi

Da intercettazioni telefoniche sembra emergere che il famosissimo calciatore Luis Suarez sia stato facilitato nel sostenere l’esame di italiano all’Università per gli stranieri di Perugia, esame finalizzato all’ottenimento (per motivi di ingaggio) della cittadinanza italiana da parte dello stesso Suarez.

La Procura della Repubblica di Perugia apre un’inchiesta, ma poi, dopo qualche giorno, il Procuratore capo Raffaele Cantone, la sospende a tempo indeterminato. Che cosa è successo? Semplice: il solito impazzimento mediatico intorno a una notizia di cronaca giudiziaria, che è perfetta, perché ha tutti gli ingredienti del racconto giornalistico ad uso e consumo degli spettatori. Su tutti (tra questi ingredienti) lo scivolamento (per niente difficile o forzato) verso ambiti morali (e moralistici, ahimé).

Quando si tratta di poveri cristi – questa la narrazione dominante – le regole e la burocrazia non transigono e possono essere anche spietate; quando, invece, c’è di mezzo un calciatore famoso, quando gli interessi sono tanti e importanti, regole e burocrazia scompaiono, e tutto diventa facile, anche se illecito, in via presuntiva certo. Vero, tutto vero. Peccato che l’eccitazione da narrativa perfetta, quell’eccitazione che porta i giornalisti a rincorrere la gente in strada o ad accalcarsi davanti a una Procura della Repubblica in attesa dell’arrivo di gente importante, peccato, si diceva, che tutto questo faccia perdere non solo il senso della narrazione, ma anche la misura e l’obiettività della stessa.

Il rischio di pensare, infatti, che, per tutto questo, il giudizio (non solo morale), sia già definito, al di là del lavoro di indagine e di verifica della magistratura inquirente, è, come sempre, alto e pericoloso. Naturalmente Raffaele Cantone, da integerrimo uomo di legge e di Stato, ha preso la sua decisione non per quello che la notizia criminis ha generato nei media, ma per la ritenuta e reiterata violazione di uno dei reati più impuniti della storia del mondo: la violazione del segreto d’ufficio.

Sappiamo bene che non si devono diffondere notizie legate a un procedimento penale fino a quando non si impone la necessità di renderlo noto all’imputato allo scopo di permettergli di esercitare il suo diritto di difesa. Senza considerare che una diffusione di notizie legate all’inchiesta potrebbe anche favorire l’imputato permettendogli di distruggere prove che potrebbero essere usate contro di lui.

La decisione di Cantone è, a mio giudizio, storica. Finalmente in Italia si blocca un’inchiesta giudiziaria perché la sua (illegittima) messa a disposizione dell’opinione pubblica potrebbe inquinarla. Eppure c’è chi ha storto il naso, chi l’ha presa come una critica al sistema giornalistico, la critica, cioè, di gettarsi ogni volta a capofitto su notizie succulente in termini di effetto narrativo e di intrattenimento, perché tanti e irresistibili sono i risvolti sociali che quella notizia produce. Secondo me, la decisione di Cantone non piace a certuni perché fa capire, a tutti e chiaramente (in perfetto stile Cantone), che un conto è informare, un conto è speculare sui significati intrinseci di un presunto reato, qualunque esso sia, a chiunque esso sia attribuito.

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