VENEZIA – “Per me Salvini sbaglia, l’immigrazione è un sotto-problema. Il primo vero problema, la madre di tutte le battaglie come dice Luca Zaia, è l’autonomia. Quando avremo ottenuto quella, sarà naturale risolvere gli altri problemi”. Massimo Sensini, 67 anni, presidente di Federsanità veneta, non è un leghista qualsiasi. Ha la tessera dal 1993. Ha fatto il sindaco di Fossalta di Piave per dieci anni. Da consigliere comunale è stato eletto alla carica di vicesindaco della Città Metropolitana di Venezia, che nel 2015 si è sovrapposta alla Provincia. Eppure ha deciso di dimettersi dalla carica in consiglio comunale, quindi di decadere da quella di vice del sindaco metropolitano Luigi Brugnaro. E non rinnoverà l’iscrizione alla Lega, perché non si riconosce più nel partito plasmato da Salvini. Nei giorni del trionfo di Zaia, il dualismo tra il governatore che ha ottenuto una specie di plebiscito e il segretario che continua nella campagna d’Italia (con sconfitte), si crea il primo strappo in una regione ancora in preda ai fumi della sbornia elettorale. La decisione di Salvini segna la frattura di due anime che la nomenklatura leghista si ostina a negare solo perché nessuno osa mettersi contro il Capitano. Ma tra i tanti fedelissimi c’è qualcuno che decide di farlo. E lo spiega a ilfattoquotidiano.it.

Sensini, perché lascia le cariche?
Si è trattato di una decisione molto sofferta, dopo quasi trent’anni di militanza. Non mi riconosco più in questa squadra, mi sembra di giocare in un’altra squadra. La Lega da partito ‘locale’, radicata sul territorio, si è buttata sulla strada nazionale, diventando la brutta copia di qualche altro partito.

Quale?
Fratelli d’Italia. Ma se i problemi che vengono affrontati sono gli stessi, allora è meglio unificare i due partiti. Io credevo nell’identità della Lega Nord-Liga Veneta. E sottolineo Liga Veneta. Siamo partiti come una specie di armata Brancaleone e abbiamo imposto la modifica del Titolo V della Costituzione, facendo passare l’idea che non occorre essere a Roma per decidere le nostre vite. Lo si può fare anche da qui.

L’autonomia divide la Lega?
Per me è assurdo che a sostenere l’autonomia sia un governatore, com’è Zaia. Invece dovrebbe essere un messaggio politico che parte dal segretario Salvini. Un amministratore deve mettere in pratica le linee politiche che dovrebbero partire dalla segreteria politica.

Non è così?
Zaia dice che l’autonomia è la madre di tutte le battaglie, ma dall’altra parte non c’è una risposta. Sembrava che il progetto potesse partire quando Salvini era ministro dell’Interno, invece niente. Non è un paradosso che le uniche azioni verso l’autonomia in politica, nel passato, le dobbiamo a Massimo D’Alema? Invece il segretario tiene comizi in tutta Italia, senza proporre le problematiche fondanti che hanno fatto grande la Lega.

Quali?
L‘autonomia su 23 materie amministrative, prevista dal Titolo V riformato della Costituzione e la questione fiscale. Questi sono i problemi principali. Il debito pubblico sta schizzando in alto e nessuno dice niente. Una volta si diceva che era doveroso far funzionare la locomotiva d’Italia, che è il Nord, perché avrebbe trainato tutti gli altri vagoni. Adesso l’abbiamo fermata. Bisogna cambiare prima che sia troppo tardi e arrivi un uomo solo che faccia tutto.

Ci sono due anime nella Lega?
Diciamo due diversità di sentimenti, anche se il pensiero è unico. Ma Zaia è un amministratore, che ha fatto anche il ministro. E chi amministra bene non può essere che per l’autonomia, il primo dei problemi. La soluzione degli altri viene dopo. Salvini, che non è un amministratore, ma un politico, insiste invece sull’immigrazione. Ma questo è un problema di secondo piano, che sarà affrontato quando avremo risolto quello dell’autonomia alle regioni. Altrimenti si parla del nulla.

Ha avuto reazioni all’annuncio delle dimissioni?
Vari messaggi. Ma non mi aspetto che Zaia si faccia vivo. Sta molto attento, è prudente. La sua visione è molto simile alla mia. Ma è la Lega, che un tempo era la mia casa, ad essere cambiata.

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