In un contesto mediatico che amplifica il malumore contro ciclabili, pedonalizzazioni e mobilità leggera (i temibili monopattini), dove i quotidiani nazionali fanno a gare a pubblicare lettere di cittadini e commercianti inferociti contro i centri chiusi alle auto, le auto continuano imperterrite a mietere vittime.
Venerdì è stata uccisa una donna in pieno centro a Monforte d’Alba (CN) e altre 5 ferite, a causa di un Suv a tutta velocità. Un omicidio stradale assurdo, pazzesco. Poco prima di arrivare sulla piazza l’uomo aveva insultato una commerciante che lo aveva invitato a rallentare. La banalità del male.
Tutti ora si stupiscono e piangono questa “tragedia”, ma c’è qualcosa che non va nel modo in cui la stampa narra la motorizzazione di questo paese.
Questi giorni ho iniziato per curiosità a guardare le pubblicità dei Suv.
Un mio amico mi aveva segnalato la pubblicità di uno spot radio, relativa ad un Suv sportivo, di cui si decantavano le doti, tra cui la facilità di parcheggio sul marciapiede. Minimo comun denominatore tra tutte le pubblicità trovate: si vanta la potenza, la velocità e si occhieggia alla trasgressione delle regole.
Auto di 2-3 tonnellate, che arrivano a 250 km orari, con un’accelerazione da 0 a 100 km orari in 4,5 secondi. Numeri che saltellano sullo schermo, attraggono, esaltano, invitano all’emulazione. E sotto i commenti: “meravigliosa, la voglio”, “spettacolo, voglio provarla”, “pensavo a qualcosa di più, aspetto il nuovo modello”…
Ma io chiedo: è lecito solleticare la voglia di pigiare al massimo l’acceleratore? Perché costruire auto così potenti e veloci se non possono andare così veloci? E non ditemi che alcuni modelli sono elettrici. Così veloci e pesanti, ammazzano lo stesso (e pure meglio, visto che sono silenziosi).
Auto sempre più ingombranti ed energivore.
Come dice Marco Pierfranceschi, “i Suv sono puro darwinismo sociale veicolato dal mercato. Chi sta dentro, blindato, ha più probabilità di sopravvivere di chi sta fuori esposto. È una cultura di tipo fascista confezionata sotto le mentite spoglie di gusto estetico, passione per le prestazioni e piacere della guida”.
Dobbiamo chiedere di rendere illegali le pubblicità di auto così come sono illegali quelle delle sigarette. In fondo, a che serve pubblicizzare un’auto?
Mi sento dire ogni giorno, da tutti, che le auto sono tremendamente necessarie e non possiamo vivere senza. Ma se davvero l’auto fosse così necessaria e bene di primaria importanza, non servirebbe la pubblicità a solleticarne il suo bisogno.
L’auto invece è la pubblicità più ricorrente.
So che non piace sentirselo dire, ma è così. L’auto non è un vero bisogno (solo in pochi casi lo è), è solo un bisogno indotto dalla pubblicità, una pubblicità tossica che ogni giorno di più ci invita a stra-fregarcene del bene comune, che ci invita a primeggiare, dominare.
Ma ci pare normale. Troviamo normale leggere sulla stessa pagina un articolo che racconta lo strazio di una madre che ha perso il figlio a 17 anni in un incidente d’auto, e subito sotto la pubblicità di un’auto col motto “guida per divertirti”.
Oggi storceremmo il naso se trovassimo la pubblicità delle sigarette, ma se siamo arrivati a vietare la pubblicità di alcol e tabacco, perché non vietare anche quella delle auto? Non dovrebbe essere legale costruire e pubblicizzare auto che possono arrivare al doppio del limite massimo consentito (130 km orari).
Bisognerebbe rendere obbligatorio, prima possibile, in tutta Europa, l’Intelligent speed adaptation (ISA), un sistema che impone all’auto di non oltrepassare limiti presenti sulla strada percorsa. In una strada a 30 km orari, l’auto non può andare oltre, anche se pigi al massimo sull’acceleratore, l’auto non accelera. Un dispositivo già esistente, promosso dall’ETSC (European Transport Safety Council) e chiesto a gran voce dalle associazioni di vittime della strada (Fondazione “Luigi Guccione Onlus”, Rete “Vivinstrada” e Fondazione Michele Scarponi).
La decisione spetta all’Ue e speriamo che arrivi in fretta. Come è ovvio l’Isa è avversato dai costruttori di automobili.
Mi dicono spesso, “ma l’auto non è un’arma, l’auto è un mezzo di trasporto”. Certo, un mezzo potente, inquinante e veloce (tale e quale un’arma impropria) che va ridotto di numero e potenza, non pubblicizzato né incentivato. Eppure il nostro governo (così come tutti i precedenti), ha incentivato il popolo più motorizzato d’Europa, a motorizzarsi ulteriormente. I bonus auto sono andati letteralmente a ruba. Nonostante la crisi economica, gli italiani non vogliono rinunciare all’auto. Miracoli (anche) della pubblicità.