La Corte suprema ha confermato la condanna a un anno e mezzo di interdizione dalle cariche pubbliche per il presidente della Generalitat, Quim Torra, che sarà costretto a lasciare l’incarico. E così si aprirà una nuova crisi istituzionale in Catalogna. La sentenza, emessa all’unanimità, accusa Torra di “disobbedienza” per essersi rifiutato, durante il periodo elettorale del 2019, di oscurare gli striscioni che chiedevano la liberazione degli indipendentisti in carcere. “Prigionieri politici“, come riportavano gli striscioni, incarcerati per i fatti del settembre e ottobre 2017, quando il parlamento catalano e il presidente Carles Puigdemont, dello stesso partito di Torra, dichiararono l’indipendenza della Catalogna.
La sentenza porta la Catalogna a una fine anticipata della legislatura e a nuove elezioni, che dovrebbero tenersi il 31 gennaio o il 7 febbraio dell’anno prossimo. Nella sentenza, l’Alta corte ritiene che il presidente “abbia ripetutamente e ostinatamente disobbedito” agli ordini del Consiglio Elettorale Centrale, che chiedeva di ritirare alcuni simboli dagli edifici pubblici dipendenti dalla Generalitat durante le elezioni generali indette per il 28 aprile del 2019.
La sentenza della Corte Suprema respinge dunque l’appello di Torra e conferma integralmente la risoluzione emessa dalla Corte Superiore di Giustizia della Catalogna il 19 dicembre, che lo ha condannato a un anno e mezzo di interdizione speciale sia per l’esercizio di cariche pubbliche elettive, a livello locale, regionale, statale o europeo, nonché per lo svolgimento delle funzioni di governo. Nella sua sentenza, di cui è stato relatore il magistrato Juan Ramón Berdugo, il tribunale sottolinea che Torra è libero di esporre simboli o striscioni che riflettano la sua identità politica, ma non di usarli nei periodi elettorali “disobbedendo alle disposizioni del Consiglio Elettorale Centrale che, nell’esercizio delle sue funzioni, garantisce la trasparenza e l’obiettività dei processi elettorali, vietandone l’uso”. In questo senso, la Camera sottolinea che gli accordi della Commissione elettorale centrale non hanno violato i diritti di Torra alla libertà ideologica e alla libertà di espressione, mentre l’atteggiamento del presidente, secondo il giudice, ha invece implicato una violazione del principio di neutralità cui devono sottostare le amministrazioni.