L’Italia sta faticosamente cercando di isolare e curare le persone positive al Covid, attraverso le famose tre T: testare, tracciare e trattare.

In questo momento soprattutto il problema dei test, i tamponi, è centrale, in quanto si devono velocemente individuare i contatti di una persona infetta. Se, ad esempio, io risulto ammalato, nell’arco di due o tre giorni dovrebbero effettuare un tampone quelle persone che ho incontrato in modo ravvicinato, per periodi significativi, negli ultimi 14 giorni. Per questo l’applicazione Immuni sarebbe molto importante, in quanto permetterebbe ad ognuno di noi, se usata da tutti, di individuare i propri contatti, senza affidarsi alla memoria a volte fallace.

Dopo altri 14 giorni, periodo massimo d’incubazione, queste persone dovrebbero rifare di nuovo il tampone. Capite che, tracciare tutti i contatti, può essere un’impresa improba, soprattutto se ho incontrato molte persone o frequentato luoghi molto affollati.

Un secondo gruppo di persone da sottoporre a tampone, oltre ai contatti degli infetti, è costituito dai pazienti febbrili o con sintomi che possono farli individuare come affetti da Covid, ma anche da raffreddore o influenza, per citare le più comuni e da altre svariate altre patologie.

Il terzo gruppo è costituito da coloro che, a qualsiasi titolo, vengono ricoverati in ospedale o in residenze protette. Capiamo che il numero dei tamponi da attuare ogni giorno è cruciale per tenere in piedi la possibilità di prevenire nuove ondate virali. Alcuni prevedono la necessità di 400 mila tamponi nel periodo fine autunno – inverno, a fronte dei 100 mila odierni. Implementare il numero di questi esami è quindi fondamentale.

Accanto ai tamponi che potremmo definire diagnostici della malattia ne esiste anche un altro tipo: quelli diagnostici della guarigione. In questo caso, dopo essere stati malati ed aver superato la malattia, quando i sintomi sono ormai scomparsi, occorre effettuare il cosiddetto doppio tampone. Si tratta di effettuare un tampone un giorno e poi un secondo in quello successivo: entrambi devono risultare senza virus, in modo che io possa essere definito guarito. Questa metodica è indaginosa, in quanto residui virali inattivi possono permanere nel naso o in gola per mesi, anche quando sono completamente guarito da tempo.

Dal racconto di colleghi medici emergono casi di persone che effettuano il doppio test dopo quindici giorni, con risultati positivo su un tampone e sull’altro negativo, lo ripetono dopo una settimana, ottenendo gli stessi risultati e così via ad oltranza.

Addirittura in alcuni casi, per mesi dopo la guarigione clinica, la persona presenta residui virali e quindi non può essere dichiarata guarita, per cui continua a essere sottoposta a svariati tamponi. Fino a che non riceve il bollino di guarigione, l’ex malato deve rimanere in isolamento, senza lavorare e senza contatti. Si stanno verificando casi di stato ansioso cronico, causato da questo forzato isolamento e dalla spada di Damocle, costituita dalla pratica del doppio tampone, obbligatoria per dichiarare la guarigione.

Mentre il tampone per attuare la diagnosi è sacrosanto, quello per definire la guarigione è stato messo in discussione, in quanto per molti l’infetto che ha superato i sintomi della malattia può essere definito guarito dopo una settimana e, soprattutto, non ha più la possibilità di trasmettere il virus ad altri. Molti paesi, tra cui anche svariate nazioni europee, non usano più il doppio tampone. Perfino l’Oms ha definito non necessaria questa ridondanza di tamponi per definire la guarigione. L’eccesso di precauzione impone un isolamento forzato a migliaia di persone che rischiano di incorrere in stati ansiosi piuttosto problematici.

Ci troviamo a un bivio in vista dell’autunno. Da un lato possiamo aumentare il numero dei tamponi, almeno raddoppiandolo oppure indirizzare quelli che possiamo fare solo sul quesito diagnostico e non su quello della guarigione virale. Sottolineo che la guarigione clinica in assenza di sintomi è una cosa, quella virale, in presenza di residui inattivi del virus è un’altra cosa. Raddoppiare il numero dei tamponi per portarlo a duecentomila giornalieri non è solo un problema di costi, pur rilevanti, ma di personale da formare. Non si improvvisano infatti, oltre alle strutture, medici e infermieri che sappiano applicare le metodiche.

Personalmente ritengo che concentrare tutte le risorse sulla diagnosi sarebbe la strategia migliore, mentre disperdere test preziosi per definire la guarigione sia uno spreco. Già ora, in molte zone d’Italia, si aspettano giorni per avere un tampone, quando tutti sappiamo che la tempestività è essenziale. Sull’altro fronte si è arrivati a record di individui che, per risultare guariti, ne hanno fatti oltre dieci. Urge quindi che il ministro della Sanità faccia una scelta e prenda una decisione. O si è in grado di raddoppiare le capacità diagnostiche, cosa di cui dubito molto, visto che il personale non si può improvvisare o si toglie l’obbligo del doppio tampone per definire la guarigione.

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