La grande paura che il calcio italiano aveva avuto per mesi e un po’ dimenticato negli ultimi giorni si è realizzata. C’è un focolaio in Serie A, neanche piccolo: 14 positivi al Genoa, che domenica ha giocato (e perso 6-0) in casa del Napoli. Secondo quanto risulta a ilfattoquotidiano.it, ben 8 di questi sarebbero calciatori. Proprio dopo che la Figc del presidente Gabriele Gravina aveva chiesto e ottenuto dal governo di allentare il protocollo sui tamponi, convinto che il peggio fosse ormai alle spalle. Evidentemente si sbagliava.
La notizia di una prima positività in casa rossoblù in realtà era arrivata già sabato: alla vigilia del match del San Paolo era risultato infetto il portiere Perin, tanto che la Lega Calcio aveva in tutta fretta posticipato la partita, inizialmente in programma alle 15, in modo da permettere ai calciatori di sottoporsi all’esame domenica mattina e solo dopo partire per Napoli. Il secondo giro di test aveva avuto un esito tutto sommato rassicurante: soltanto un altro caso, il centrocampista Schone, “debolmente positivo”, infatti gli altri, tutti negativi, avevano giocato regolarmente. La brutta sorpresa, però, è arrivata lunedì, dopo un terzo controllo di routine effettuato in giornata: stavolta i positivi erano ben 12, tra giocatori e tesserati, per un totale di 14.
Per la Serie A è uno choc. La preoccupazione più immediata è per il Napoli, che contro il Genoa ha giocato un giorno fa: adesso tutto il gruppo dovrà essere subito sottoposto a tampone. Si spera che il contagio non si sia esteso anche agli azzurri. Ma più in generale il focolaio di Genova (è positivo anche un calciatore della Sampdoria, il nuovo arrivato Keita Balde) pone due gravi temi per il calcio italiano.
Il primo è quello dei tamponi. Per tutto settembre la Figc ha insistito col governo per ottenere un allentamento del protocollo, che prevedeva esami obbligatori per tutto il gruppo squadra ogni 3-4 giorni. Questioni prettamente economiche: tra giugno e agosto i club professionistici avevano effettuato 56mila tamponi e 17mila test seriologici, per un costo di oltre 8 milioni di euro in soli tre mesi, ed erano terrorizzati dal doverlo fare per tutto l’anno. La concessione annunciata dal ministro Spadafora era stata salutata come una vittoria, ma che fosse un’arma a doppio taglio i vertici del pallone avrebbero dovuto capirlo: più diminuiscono i test, più aumenta il rischio di focolai e quindi si riduce la possibilità di avere un calcio “Covid-free”, che però è una condizione fondamentale per sperare di portare a termine la stagione. Per fortuna l’emergenza è scattata subito, quando era di fatto ancora in vigore il vecchio protocollo, e ciò potrà forse permettere di evitare ulteriori danni. Ma adesso non è escluso che governo e Figc siano costretti a fare un passo indietro e tornare a un protocollo più rigido.
L’altro grande tema è che tipo di conseguenze potranno esserci sul calendario. Lega e Figc hanno sempre proposto di trattare i positivi come infortunati qualsiasi. È cosa ben diversa se si infetta mezza squadra. A riguardo, l’unico vero regolamento è quello pubblicato dalla Uefa ad agosto: bastano 13 tesserati disponibili per scendere in campo, in caso contrario partita persa a tavolino. È l’orientamento che è stato adottato fin qui a livello internazionale: a inizio settembre il Paris Saint-Germain aveva esordito in campionato contro il Lens praticamente decimato dai casi Covid, pochi giorni fa l’Al-Hilal (dove milita l’italiano Giovinco) è stato addirittura escluso dalla Coppa d’Asia per mancanza di giocatori. Lo stesso a rigor di norma dovrebbe valere anche in Serie A, ma è chiaro che in queste condizioni torna d’attualità l’ipotesi di un rinvio: la squadra interessata può chiederlo alla Lega, ma spetterebbe all’avversario decidere se accettare o meno. Una soluzione andrà trovata: pensare che il Covid non avrebbe più condizionato la Serie A era un’illusione. In questo momento la gara di sabato pomeriggio fra Genoa e Torino pare a rischio. Il timore è che torni ad esserlo un po’ tutto il campionato.