Se fosse solo per le imprese private saremmo un paese meraviglioso. Peccato ci sia anche tutto il resto. E’ questa l’estrema sintesi della prima assemblea di Confindustria di Carlo Bonomi, presidente eletto la scorsa primavera che ha dovuto rimandare di 4 mesi a causa della pandemia. Nel paese che da un ventennio è ultimo in Europa per tassi di crescita economica,l’unico accenno di mea culpa del leader degli imprenditori riguarda il gap retributivo tra uomini e donne: “noi uomini dobbiamo cambiare testa”. A posto così. Sbrigata rapidamente la pratica del passaggio di consegne con il presidente uscente Vincenzo Boccia, parte quella che da anni è la solita tiritera confindustriale: ridateci gli incentivi di industria 4.0, tuteliamo l’ambiente ma senza esagerare, facciamo le infrastrutture, non chiedeteci soldi nei rinnovi contrattuali. Novità 2020: prendete i soldi del Mes (uno dei pochi applausi) , fate pagare l’Irpef direttamente ai dipendenti, senza che le aziende debbano sobbarcarsi il compito di sostituti di imposta, no al salario minimo. E poi la proposta per un non meglio definito patto per l’Italia rivolto a governo e parti sociali. C’è anche un accenno al ripristino della legalità nel Mezzogiorno senza che mai si parli, e mai si è parlato, delleinchieste che coinvolgono l’ex presidente di Confindustria Sicilia Antonello Montante.

Gli inviti rivolti direttamente a Giuseppe Conte – Più nel dettaglio Bonomi ha spiegato alla rarefatta platea (causa misure Covid) si rivolge al presidente del Consiglio Giuseppe Conte in platea affermando che “Servono scelte per l’Italia del futuro. Scelte anche controvento. Serve il coraggio del futuro. Il compito che vi spetta è immane, nessuno può e deve sottovalutarne le difficoltà. Serve una rotta precisa per dare significato complessivo alle misure, e per tracciare la rotta serve un approdo sicuro”. E poi ancora “Presidente, lei ha detto: ‘se sbaglio sull’utilizzo del Recovery fund, mandatemi a casa. No, signor presidente. Se si fallisce, nei pochi mesi che ormai che ci separano dalla definizione delle misure da presentare in Europa, non va a casa solo lei. Andiamo a casa tutti. percepisci il danno per il Paese sarebbe immenso”. E avverte: “Non ce lo possiamo permettere. E’ tempo di una azione comune, oppure non sarà un’azione efficace”.

A questo punto Bonomi cala il suo asso : “Serve un nuovo grande patto per l’Italia, bisogna puntare su una “nuova produttività”; “E’ su questo concetto ampio di produttività che si devono concentrare le azioni e le politiche dei prossimi anni, con l’obiettivo di massimizzare il ruolo di motore dello sviluppo del sistema delle imprese e del lavoro, e dare nuova centralità alla manifatture”. Bonomi sottolinea: “Questo è il patto che chiediamo al Governo di scrivere”, con Confindustria e con tutte le parti sociali; un patto che richiede “una visione alta e lungimirante”.

Contratti, il patto per la fabbrica funziona, no al salario minimo – In Italia 19 milioni di lavoratori attendono il rinnovo dei loro contratti collettivi di categoria. Ma per Bonomi le regole del patto per la fabbrica (semplificando, aumenti solo se c’è inflazione, altrimenti solo misure di welfare) funzionano bene. Confindustria “sta subendo una serie di accuse sindacali, e non solo, sulla nostra presunta contrarietà” al rinnovo dei contratti, ma “nessuno di noi ha mai pensato né parlato di blocco, il problema sono le regole da rispettare”, ha detto il presidente degli industriali Carlo Bonomi.

No ad accuse “piazzaiole” (testuale) rimarca Bonomi augurandosi che “il fraintendimento si superi presto, con dialogo, rispetto e ragionevolezza. Confindustria vuole contratti che siano compresi nello stesso spirito della svolta che vogliamo costruire insieme, nel Patto per l’Italia”. Bonomi se la prende con quelle imprese che hanno contravvenuto ai diktat confindustriali firmando comunque contratti che prevedono aumenti in busta paga: “mette in difficoltà le aziende più piccole e meno redditizie”

Sull’ipotesi di introdurre un salario minimo Bonomi è categorico: “Il trattamento economico minimo, ribadisce, “si stabilisce bilateralmente nei contratti e non imponendo un salario minimo per legge enormemente superiore alla media retributiva come vorrebbero alcuni parti politiche, violando l’autonomia delle parti sociali”. E il trattamento economico complessivo, prosegue, per “dare spazio alla retribuzione di produttività, welfare aziendale, formazione e assegno di ricollocazione”. Sulla fine di Quota 100 il numero uno di viale dell’Astronomia invita il governo a “non immaginare nuovi schemi previdenziali basati su meri ritocchi, come leggiamo quando si parla di Quota 101. Cioè nuovi regimi che continuerebbero a gravare sulle spalle dei più giovani”

I dipendenti paghino l’Irpef da soli – Sul piano degli adempimenti fiscali la proposta di Bonomi è la seguente: “Perchè passare alla tassazione diretta mensile solo per i 5 milioni di autonomi? Facciamo lo stesso per tutti i lavoratori dipendenti, sollevando le imprese dall’onere ingrato di continuare a svolgere la funzione di sostituti d’imposta addetti alla raccolta del gettito erariale e di essere esposti alle connesse responsabilità”. Si chiude con una butta caduta di stile, tirando in ballo l’ignaro Alex Zanardi. Per il Paese “servono scelte difficili, ma non impossibili” dice il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, “come le sfide affrontate e vinte da un grande sportivo come Alex Zanardi. E’ del suo spirito che oggi c’è bisogno”.

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