I soldi non bastano. Così l’Inps tiene il gioco al governo che progressivamente stanzia nuovi fondi. Ma intanto ci sono ancora più di mezzo milione di lavoratori che attendono gli arretrati della cassa integrazione. Che il pagamento del dovuto ai lavoratori non sarebbe stato immediato era del resto noto sin dai primi giorni del lockdown. Soprattutto per la cassa in deroga che richiede l’accordo di Regioni e sindacati. Ma chi sperava in una progressiva “normalizzazione” dei pagamenti è stato costretto a ricredersi.
Secondo quanto riferisce il presidente del Consiglio di vigilanza dell’Inps (Civ), Guglielmo Loy, ancora oggi le domande di cassa integrazione con causale Covid da lavorare sono 226.792. Il numero fa però riferimento alle aziende che hanno richiesto la cassa per i loro dipendenti che in totale dovrebbero essere circa mezzo milione. “Trentamila sono quelli che poi non hanno ancora preso un euro”, come ha chiarito Loy. A soffrire maggiormente, come dall’inizio del lockdown sono sempre i lavoratori che devono accedere alla cassa in deroga per la quale ci sono ancora 139.311 domande giacenti. Meno grave la situazione per il sussidio ordinario e per i fondi di integrazione salariale che registrano rispettivamente con 51.364 e 36.117b pratiche inevase.
Ma per quale ragione l’Inps non riesce a mettersi in pari con le richieste? La responsabilità è dei lavoratori dell’ente che si sono trovati a gestire la cifra record di 11 milioni di prestazioni in cinque mesi? O forse ci sono altri problemi legati al denaro che lo Stato ha messo a disposizione per la Cassa? Secondo quanto riferisce Loy al Corriere della Sera di martedì 29 settembre, il problema sarebbero i soldi: le richieste si sarebbero infatti progressivamente accumulate perché i fondi non erano sufficienti a coprire tutte le richieste. Non a caso il governo si è visto costretto più volte finanziare la Cassa integrazione con i diversi decreti legge.
Interpellata da ilfattoquotidiano.it, l’Inps non ha voluto fornire alcun chiarimento sul tema. Ma di certo è significativo il fatto che l’esecutivo si sia premurato di introdurre dei correttivi per limitare il ricorso massiccio alla Cassa. Nel dettaglio, nell’ultimo decreto di agosto, attualmente in Parlamento, l’esecutivo ha introdotto dei criteri selettivi, prevedendo un contributo del 18% della retribuzione per le aziende che mettono lavoratori in cassa integrazione pur non avendo subito cali di fatturato e del 9% se la flessione è stata fino al 20%, mentre nessuna contribuzione è dovuta per importi superiori.