L'assassinio era premeditato e studiato nei minimi particolari. Secondo gli inquirenti, il movente va ricercato nel periodo di convivenza dei tre: "Forse invidia per la gioia di vivere dei giovani che lui non aveva"
Ha confessato nell’interrogatorio durante la notte il presunto assassino di Eleonora Manta e Daniele De Santis, uccisi lunedì 21 settembre con 60 coltellate nel loro appartamento a Lecce, dove si erano appena trasferiti. È Antonio De Marco, 21enne aspirante infermiere, ex coinquilino della coppia, arrestato nella serata del 28 settembre per il duplice omicidio. “Sì, sono stato io”, ha detto agli inquirenti. La confessione è avvenuta nella notte davanti al procuratore di Lecce, Leonardo Leone De Castris che lo ha interrogato nella caserma dei carabinieri. “Ho fatto una ‘cavolata’, so di aver sbagliato – ha detto De Marco nella confessione – Li ho uccisi perché erano troppi felici e per questo mi è montata la rabbia”. La notizia è stata confermata dalla Procura. Al termine della conferenza stampa dopo l’arresto di De Marco era stato lo stesso procuratore ad augurarsi che il giovane confessasse. Quando i carabinieri lo hanno raggiunto in ospedale dove stava svolgendo il tirocinio per arrestarlo, Antonio De Marco non ha opposto resistenza, anzi, ha spiegato il comandante dei carabinieri di Lecce Paolo Dembech, ha mostrato un atteggiamento rassegnato. “Da quanto mi state pedinando?”, ha chiesto De Marco ai militari.
Il comandante Dembech, in una conferenza stampa in cui sono stati forniti alcuni dettagli sulle indagini che hanno portato alla svolta, ha escluso il movente passionale “che al momento non si evidenzia”. Il movente, che resta incomprensibile, va ricercato secondo il comandante nei rapporti che ci sono stati tra i tre durante il periodo di convivenza, in “qualcosa che gli ha dato fastidio e che ha covato per 10-15 giorni e che poi è esploso con la volontà di colpire la coppia”. Forse, “invidia e gelosia per la gioia di vivere e la solarità dei giovani che lui non aveva”, e che avrebbe infastidito il presunto omicida, che è un ragazzo “introverso, chiuso, con poche amicizie”.
De Marco aveva fatto una copia delle chiavi di casa, in quanto ex inquilino. Il 21enne aveva preso in affitto una stanza dell’appartamento e per brevi periodi aveva convissuto con la coppia, che a volte si fermava a dormire nella casa. Su richiesta del proprietario, Daniele De Santis, il giovane aveva lasciato l’appartamento ad agosto e si era trasferito in un’altra casa sempre a Lecce. Proprio da allora ha cominciato a pianificare l’omicidio. Secondo la ricostruzione degli investigatori, De Marco si è introdotto nella casa con le chiavi mentre la coppia stava cenando e ha sferrato le prime coltellate contro De Santis in cucina.
Da alcuni bigliettini trovati sulla scena del crimine, gli investigatori avevano ricostruito il suo piano omicida: De Marco voleva torturare la coppia, ucciderla e lasciare una scritta dimostrativa sul muro dell’appartamento. Nello zaino aveva dei solventi per cancellare ogni traccia del suo passaggio e del delitto. “Chiaramente il delitto non è andato come aveva pianificato perché da parte delle vittime, in primis di Daniele, c’è stata una reazione improvvisa”. I due hanno cercato di scappare, invocando aiuto e chiedendo pietà a De Marco che però non si è fatto fermare dalle suppliche, inseguendoli e finendoli sulle scale del condominio.
I fidanzati sono stati uccisi con un coltello da caccia acquistato pochi giorni prima e non, come inizialmente si era pensato, con un coltello da sub. È stato ritrovato il fodero ma non l’arma del delitto: De Marco se ne è disfatto buttandolo in discarica, nei rifiuti già raccolti. Si è disfatto anche dello zainetto giallo, notato da un testimone, dove aveva messo i solventi per pulire dalle sue tracce la scena del crimine.
Dopo la confessione, per De Marco è arrivato il decreto di fermo: “Il delitto è stato realizzato con spietatezza, per mero compiacimento sadico: ci sono numerosi colpi anche in zone non vitali, come il volto di De Santis. L’omicida ha un’indole violenta e insensibile a ogni richiamo di umanità”. L’azione, meticolosamente programmata, non è stata fermata nemmeno dalle urla delle vittime o dal loro tentativo di scappare. Secondo gli inquirenti la premeditazione è provata dagli oggetti trovati sul luogo del delitto, come le fascette stringitubo e un cappuccio fatto con delle calze, oltre ai cinque biglietti in cui è descritto il crono-programma del delitto: pulizia, acqua bollente, candeggina, soda.