Calcio

Kitikaka – Quando Il Derby del lunedì condotto da Beppe Dossena diventa un bar dello sport (Covid edition) in salsa genovese

Piccolo stupidario del fine settimana calcistico, con il titolo che vuole essere un tributo (a modo nostro) alla fortunata trasmissione Mediaset - In questa puntata lo straordinario salotto sportivo di TeleNord, con l'ex attaccante della Samp scudettata a fare da padrone di casa

“Con quella faccia un po’ così/quell’espressione un po’ così/che abbiamo noi che parliamo di calcio e Covid a Genova”. Sotto la lanterna pallonara s’impenna il contagio di Coronavirus e in diretta tv scoppia la mischia in area. Breaking News tra Marassi e l’Acquarium. Onda su onda che lambisce Il derby del lunedì su TeleNord. Granitico, angelico, bar sport genovese, bianco azzurrino negli sfondi che nemmeno un film di Spielberg, bomba ad orologeria con i commenti post partita di Genoa, Samp, e perfino lo Spezia. Al timone della barca ormeggiata a Sampierdarena c’è il navigato Giuseppe Dossena. Arenatosi tra i carrugi, dopo aver fatto da spalla alle partite degli Azzurri ed essersi preso vagonate di improperi dai social (povero Beppe per qualche calciatore pronunciato in malo modo, tutta invidia), Dossena “cazza la gomena” del suo ben orchestrato studiolo di ospiti, esperti, avvocati, spigolatori di Sapri, sosia di Timperi e Grillo assortiti. Sia chiaro, Il derby del lunedì è tra i programmi calcistici meno laccati e fasulli in Italia.

Si vede che non c’è l’ossequiosa riverenza verso qualche presidente amico. Beppe&Co se la giocano a viso aperto. Un po’ di risatine e borbottii in sottofondo mentre parla l’ospite. Qualche “cazzo ragazzi” quando si crede di essere fuori onda mentre si lancia la pubblicità. Telefonini che squillano. Giornali che svolazzano senza francesi che s’incazzano. Al Derby del lunedì peraltro si dovrebbero raccogliere i cocci di una domenica bestiale che ha visto le tre liguri affondare come il Titanic. Gigi Cagni è il più disinvolto di tutti e si vede che ha il piglio antiPirlo, cioè di quello di chi allena(va) sbraitando a bordo campo. “Per fare risultati importanti ci vogliono almeno tre anni di panchina, ma non te li dà nessuno”, lamenta perentorio l’ex mister di tutte e tre le liguri in A oggi, facendo riecheggiare i cahiers de doléances della propria categoria. “Gli esterni della Samp sono ridicoli”, aggiunge il decano Piero Sassarego, con elegante camicia doubleface (doriani e genoani pari sono, ecco), influenzato dai trascorsi di Dossena telecronista Rai tanto da trasformare Candreva nel nostro collega Candela. Anche l’esterno del Milan diventa per tutti quanti un rebus lessicale mica da ridere. Qualcuno esclama “come diavolo si chiama?” (rubandoci il mestiere). Altri tentano di sillabare.

Altri provano l’accento svedese. Materiale di repertorio fantastico per una regolare puntata di Kitikaka. Solo che questa volta l’ “allarme rosso” che lampeggia da levante a ponente dopo due giornate di campionato non è proprio al centro dell’attenzione. Perché mentre il bisticciare tra ospiti diventa tambureggiante come un remix da disco inferno, tutti fremono per dare la notizia della serata/giornata/mese/forse anno accademico calcistico 2020-2021. Quattordici tra staff e giocatori del Genoa sono positivi al Coronavirus. Beppone, milanese d’origine, placa la zuffa generale con un “ghe pensi mi”: “Le notizie le do io con i tempi che voglio”. Gelo in studio. Sassarego buca il muro dell’omertà senza far partire il dibattito: “Campionato falsato”. “Tutto il giorno mi interrogo su cosa dire”, la butta lì mezzo accigliato con fare filosofico il sosia vocale di Beppe Grillo, Paolo Zerbini. Sassarego vola sull’amarcord un po’ sghembio a livello epidemiologico sanitario ma comunque bello: “Quella volta del colera a Napoli il Genoa andò a giocare là ma non successe nulla”. Qualcuno spiega che tra Corona e colera c’è di mezzo un virus, ma fa niente. Oramai gli schieramenti da lockdown, quelli delle interminabili diatribe che sui social sfinivano anche i bisonti imbizzarriti delle praterie americane, tornano improvvisamente utili. I zangrilliani, capitanati da Gigi Cagni, in tenuta verde speranza e nero rabbia, disposti da sinistra a destra, vincono al lancio della monetina e lanciano tesi da centrocampo nella porta avversaria.

“Se ascoltavamo te la nostra economia chissà dove finiva, tu oggi vorresti chiudere tutto eh?”, dice il Gigione, in modalità aeroplanino di Montella verso Massimiliano Lussana, un Tiberio Timperi versione Andrea Dipré. Lussana da par suo, ostentando il pollice in bocca alla Totti la mette sul culturale: “Se vado a vedere l’Elena di Euripide a teatro con gli altri spettatori a due posti di distanza gli altri mica mi sputano in faccia!”. Ma è nella celeberrima giaculatoria dei “numeri del Coronavirus”, un bagaglio di informazioni statistiche che ondeggia tra “l’ha detto mio cuggino” e “l’ha detto la Capua”, che Il Derby del Lunedì assume i veri connotati della disputa arcigna e popolare dei tragici giorni chiusi in casa nella primavera scorsa. Una voce senza inquadratura butta lì: “su 8 milioni di studenti (?) solo 500 (preciso come uno svizzero) sono infetti”. Zerbini/Grillo, mano concava all’orecchio come Luca Toni, aggiunge altri dati: “La Liguria è tra le cinque regioni con il maggior tasso d’infezione”. Ma è ancora Cagni/Zan(grillo) in modalità smitragliata di Batistuta a chiuderla lì: “Quest’anno sono morte 43mila persone (precisissimo) per infezioni post operatorie (?)”. “Eppur parenti siamo in po’/Di quella gente che c’è lì/Che come noi è forse un po’ selvatica”.