Una banca modellata sui propri interessi. Questa era diventata la Popolare di Bari per Gianluca Jacobini, “dominus” dell’istituto nelle parole del giudice per le indagini preliminari Luigi Labriola, e tra i protagonisti della “progressiva edificazione“, come scrive il pm di Bari Lanfranco Marazia nella richiesta di misura per lui e altri sette, “di quella che possiamo apostrofare come una gigantesca ‘casa del debito“. I cui mattoni nel corso degli anni sono stati “una miriade di sospette operazioni straordinarie intercompany, quasi sempre artificiosamente sorrette da perizie di comodo, redatte da professionisti compiacenti nonché fraudolente segregazioni patrimoniali funzionali al continuo drenaggio di liquidità, sotto il cui peso, in realtà da anni ormai insostenibile, si disgregavano le fondamenta” dei gruppi Fimco e Maiora, entrambe fallite nel settembre 2019, “lasciando sul campo qualcosa come 430 milioni di euro di debiti consolidati, di cui oltre 78 milioni di pendenze accertate nei confronti del fisco e degli enti pubblici previdenziali”. Operazioni che oggi anno portato a otto misure cautelari.
Un collasso – descritto nelle informative dei finanzieri, guidati dal tenente colonnello Nicola De Santis e coordinati dal pm Lanfranco Marazia – voluto dagli imprenditori, con la complicità dei vertici dell’istituto, che ha asciugato le società di quote ma anche di alberghi e palazzi. Ed ecco che tra questi c’è Vito Fusillo, già amministratore delle fallite Fimco spa e Maiora Group spa: per il gip “assoluto ideatore delle operazioni finanziarie contestate” e per la procura, guidata da Roberto Rossi, “il partner bancario dominante”. Lui (che ha cominciato a collaborare con gli inquirenti) e i gli altri indagati avrebbero operato “secondo una opaca strategia” spostando “rilevanti segmenti di patrimonio” in favore di “terze economie“, come fondi di investimento con sedi all’estero, Lussemburgo e Malta, “di cui direttamente o indirettamente Banca popolare di Bari e il gruppo Fusillo si assicuravano il controllo”, così i beni sottratti alle società oggi fallite “restavano di fatto nella disponibilità dei fautori dell’iniziativa illecita”. Anche se come lo stesso imprenditore, in una memoria depositata lo scorso marzo ai pm, ha indicato negli ex vertici di Bpb “un ruolo deterministico” di quelle operazioni. Ed anche per questo che per lui, che a un certo punto si era visto negare dagli Jacobini l’adesione al piano di salvataggio delle società, è stata disposta una misura interdittiva.
Le quattro operazioni e le “nefandezze sul gruppo Fusillo” – – Il valore economico dei beni delle società del gruppo Fusillo “distratti” o “dissipati” tra il 2016 e il 2019 è stato stimato in 93 milioni di euro. Quattro le operazioni che avrebbe contribuito al dissesto delle società. Oltre alla cessione di Palazzo Trevi in centro a Roma (per cui l’imprenditore fiorentino Salvatore Leggiero intercettato diceva: “che io mi sono comprato un coso ad un prezzo che era talmente caro che nessuno istituzionale comprava, e il. merito è mio se lo vendo più caro un giorno” ), c’è l’operazione “Kant” relativo alla cessione del 100% delle quote di due società controllate, Logistica Sud (fallita a novembre 2019) e Ambasciatori Immobiliare (pende istanza di fallimento) nel fondo di investimento estero Kant Capital Fund Strategic Business con sede a Gibilterra riconducibile a Girolamo Stabile (gestore di fondi di investimento con sedi in Lussemburgo e Gibilterra), a fronte della ricezione di quote dello stesso fondo del valore nominale di 20 milioni di euro. Sono stati anche dismessi, secondo la ricostruzione della procura, alcuni immobili di rilevante valore, quali l’ex Hotel Ambasciatori di Bari e il Polo Logistico di Rutigliano, ceduti a società terze per quasi 27 milioni di euro. Ci sono poi le operazione “Cni-Mcg” e “Soiget”, relative alla dismissione di partecipazioni e patrimoni aziendali, tra i quali anche prestigiosi alberghi e strutture turistiche quali “La Peschiera”, “Il Melograno” e “Cala Ponte” a Polignano a Mare.
“Sulla gestione della posizione finanziaria del gruppo Fusillo si sono consumate le peggiori nefandezze dell’istituto di credito” si legge nell’ordinanza in cui si descrive di un “ruolo di primo piano” assunto dalla Popolare di Bari come “ideatrice delle iniziative“, mettendo “a disposizione delle società veicolo la leva finanziaria per acquisire i cespiti oggetto di alienazione da parte delle società del gruppo Fusillo, con mutui fondiari grazie ai quali si assicurava l’iscrizione di ipoteca in proprio favore“. “Il denominatore comune di una serie di operazioni straordinarie di portata illecita – si legge negli atti – è la presenza costante della Banca Popolare di Bari in una veste che non è quella del comune partner bancario che sostiene finanziariamente un proprio cliente storico, nell’ambito delle corrette procedure di erogazione del credito, bensì evidenzia precise e gravi responsabilità a titolo di concorso negli illeciti commessi dagli amministratori delle società fallite”. Ci sono poi i rilievi ispettivi mossi da Banca d’Italia nei confronti di Banca Popolare di Bari che, per il gip, “dimostrano come la gestione dei crediti nei confronti del Gruppo Fusillo sia stata scarsamente oculata e rispettosa delle regole bancarie. Si evidenzia come l’organo di vigilanza abbia segnalato l’estrema facilità e la scarsa oculatezza del management nel concedere credito al gruppo societario”
I vertici della banca e il responsabile business – C’è Gianluca, classe 1977, dominus dell’istituto con la carica di condirettore generale che per il giudice che ha disposto gli arresti domiciliari “ha dimostrato nel lungo periodo di gestione (anche di fatto) dell’istituto di credito, a dispetto della lunga attenzione degli organi di sorveglianza (Banca d’Italia) una forte ingerenza nelle dinamiche gestionali e nelle operazioni del gruppo Maiora, elargendo credito, in dispregio delle più elementari regole in materia“. In questo aiutato da quello che il responsabile della direzione business della Banca popolare di Bari, Nicola Loperfido, per la gestione di Fusillo “arrivando finanche a stravolgere i compiti dei funzionari all’interno dell’istituto bancario e dimostrando così di ‘utilizzare’ la banca, ‘modellandola’ a seconda dei propri interessi”. C’è naturalmente Marco Jacobini, ex presidente che aveva predestinato al ruolo di amministratore delegato il figlio Gianluca, con cui condivide parte delle contestazioni e per lui è stata decisa la misura interdittiva. Per i due Jacobini la procura aveva chiesto il carcere. Tra i reati contestati, a vario titolo, vi sono la bancarotta concordataria e fallimentare aggravata, riciclaggio e autoriciclaggio, che sarebbero stati commessi nel periodo dal 2016 al 2019. Anche se, stando alle indagini, pur usciti di scena continuavano ad aver un ruolo e a interloquire con chi era rimasto.
“Le indagini espletate hanno permesso di ricondurre alle persone di Marco e Gianluca Jacobini, nonché Loperfido Nicola, le iniziative di assistenza finanziaria lato sensu – scrive il gip nell’ordinanza – prestate da Banca Popolare di Bari nell’ambito dei fatti di bancarotta contestati all’imprenditore Vito Fusillo, consistenti in iniezioni di liquidità, nonostante lo stato di decozione delle imprese fallite, nella eterogestione delle stesse società fallite ad opera dei vertici bancari”. A dimostrazione di questo rapporto biunivoco vengono citati alcuni messaggi mail inviati da Loperfido a Gianluca Jacobini, ex condirettore generale e da questi inoltrate ai vertici apicali, compreso il capo indiscusso dell’istituto di credito, Marco Jacobini, già presidente del cda, dimostra “inequivocabilmente che le aziende oggi fallite erano di fatto etero-dirette dal management di Banca Popolare di Bari e che, sin da allora, la gestione del gruppo era improntata esclusivamente alla liquidazione del patrimonio immobiliare: segno tangibile di una profonda crisi di cui vi era piena coscienza anche i capo agli esponenti bancari odierni indagati”.