La figura di Sir Ken Robinson – scomparso poco più di un mese fa – è poco nota in Italia, dove ha ricevuto una modesta, del tutto trascurabile attenzione mediatica. Forse perché l’educazione, l’istruzione, la formazione interessano poco agli italiani, come testimoniano tutte le indagini Ocse a partire all’inizio di questo secolo.
Educatore e scrittore, Robinson (1950-2020) è il mio coetaneo che, più di ogni altro, ha influenzato la pedagogia negli ultimi 50 anni, un utopista di successo consultato da istituzioni governative, educative, artistiche di tutto il mondo, nonostante la sua profondissima, radicale critica nei confronti dei sistemi educativi contemporanei.
La sua conferenza su Ted del 2006 mi colpì profondamente: “Credo che la nostra unica speranza per il futuro sia di adottare una nuova concezione di ecologia umana, nella quale cominciare a ricostruire la nostra concezione della ricchezza delle capacità umane. Il nostro sistema educativo ha sfruttato le nostre menti come noi abbiamo sfruttato la Terra: per strapparle una particolare risorsa. E per il futuro non ci servirà”. Quel discorso – Le scuole uccidono la creatività? – è stato il più seguito di sempre tra quelli diffusi via Web dalla popolare serie Ted (Technology Entertainment Design) con più di 65 milioni di visite.
Per Robinson, la creatività e tanto importante quanto l’alfabetizzazione. E la funzione della istruzione andrebbe completamente rivista: “Quando ero studente, se avevi una laurea avevi un lavoro. Se non avevi un lavoro era perché non ne volevi uno. Ma oggi giovani con una laurea in tasca spesso stanno in casa a giocare con i videogame, perché ti serve la laurea specialistica dove prima ti serviva quella normale e adesso ti serve il dottorato di ricerca per l’altra. È un processo di inflazione accademica. E ci indica che tutta la struttura educativa sta scivolando sotto i nostri piedi. Dobbiamo ripensare radicalmente la nostra idea di intelligenza”.
A chi sta a cuore l’educazione, a chi sostiene la cultura, a chi traguarda le strade della conoscenza, l’eredità di Robinson offre un prezioso patrimonio intellettuale per affrontare il presente della pandemia e, soprattutto, il futuro. Riformare e trasformare l’educazione non è come clonare un sistema: “Nella clonazione siamo molti avanti, ma la questione fondamentale è la personalizzazione dell’educazione sulla persona alla quale stai insegnando. Se questa è la giusta risposta alle sfide del futuro, bisogna creare un movimento educativo nel quale le persone sviluppino le loro soluzioni in autonomia e libertà, ma con il supporto esterno a un percorso personalizzato”.
Il pensiero di Robinson ha profondamente ispirato il saggio che pubblicai più di un anno fa: Morte e resurrezione delle università, dalle Università del Grande Fratello alla Slow University. La Slow University è una modesta provocazione, condivisa da un piccolo manipolo di vecchi accademici un po’ troppo sofisticati, soprattutto anglosassoni, alcuni dei quali hanno apprezzato l’edizione in lingua inglese del libro. Ma è un modello affatto alternativo alla Fast University, la università utilitaristica dei nostri giorni, dove la formazione dei giovani si appiattisce in percorsi rigidi e meccanici, guidati dall’illusione di un facile e duraturo inserimento nel mondo del lavoro.
Senza ricorrere a utopie come la Slow University, la pandemia ha precipitato giocoforza la cultura in un nuovo mondo. In ordine sparso tutte le università del pianeta si sono attrezzate spesso in remoto, di rado in presenza, magari con sistemi misti, talvolta promossi come un whisky: blended, il distillato scozzese più venduto, popolare e a buon mercato. E il mondo artistico è ancora alla ricerca una strada di sopravvivenza sulla stessa falsariga: The show must go online.
L’educazione a distanza offerta dall’e-learning è una opportunità straordinaria, perché consente un dialogo capillare, continuo, dinamico. Una rivoluzione educativa che rivoluzionerà la strada della conoscenza, basata sulla comunicazione, la condivisione, la collaborazione, secondo una dialettica socratica. E non la semplice trasmissione audio/video di lezioni riprese da una remota aula accademica, né la riproduzione statica di uno spettacolo teatrale proposto a un pubblico passivo e inerte.
Se e quando la presenza, la vicinanza, la relazione fisica ritorneranno a essere uno standard educativo, l’esperienza dell’e-learning avrà modificato non solo i vettori tecnologici della trasmissione e della creazione del sapere, ma anche l’archetipo della istruzione e della conoscenza.