L’ultimatum lanciato una settimana fa dal governo scade alla mezzanotte del 30 settembre. Ma Atlantia ha ribadito che non intende concedere a Cassa depositi e prestiti la manleva da responsabilità connesse al crollo del ponte Morandi o altri problemi sulla rete. L‘esecutivo non imbocca ancora la strada della revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia, minacciata fin alle ore successive alla tragedia di Genova ma sempre rinviata, ma indica chiaramente che se la holding non cambia posizione l’approdo sarà quello. Un consiglio dei ministri verrà convocato entro 10 giorni: se nulla cambia sarà revoca, se invece arriverà una proposta, sarà valutata. Dall’esecutivo trapela “irritazione” per le lettere di Aspi e ne vengono respinti gli argomenti: Atlantia – è il ragionamento – ha modificato le condizioni che avevano portato a un accordo a luglio. Respinte anche le accuse secondo cui il governo starebbe obbligando la società ad un’operazione non trasparente e non di mercato. In serata il gruppo si era appellato al presidente del Consiglio paventando un “default da 16,5 miliardi” e aveva sostenuto che “ogni richiesta pervenuta dal Governo, nell’ambito delle negoziazioni avviate da luglio 2019, è stata integralmente accettata“.

A metà luglio l’opzione della revoca, che porta con sé il rischio di un lungo contenzioso legale, era sembrata uscire di scena: i Benetton che avevano accettato di uscire dall’azionariato mentre la società controllata dal Tesoro avrebbe dovuto entrare acquisendo l’intera partecipazione di Atlantia in Aspi. Ma da allora le trattative sul prezzo e sulle condizioni della vendita sono subito apparse in salita. Il 4 agosto il consiglio di amministrazione di Atlantia ha comunicato di aver individuato una “soluzione alternativa: mettere sul mercato l’88% di Autostrade attraverso una gara internazionale a cui Cdp avrebbe potuto partecipare eventualmente insieme ad altri investitori di suo gradimento. Ma le azioni sarebbero andate come ovvio al miglior offerente. Un esito ben diverso rispetto a quello concordato a luglio.

Le interlocuzioni sono comunque continuate, portando però in luce ulteriori nodi. Cioè “garanzie e manleve non usuali e l’accollo da parte di Aspi di prestiti obbligazionari emessi da Atlantia”, come si legge nella risposta inviata martedì al governo che il 23 settembre aveva scritto alla holding accusandola di scarsa disponibilità a definire una volta per tutte i contorni della cessione. Niente manleva, dunque. In compenso, era emerso più tardi, i soci – i Benetton, ma anche il fondo sovrano di Singapore e il fondo attivista Tci – sarebbero disposti a corrispondere una cifra in via preventiva ai nuovi azionisti per coprire i rischi futuri. In sostanza uno sconto, seppur chiamato in un altro modo, alla Cdp e ad altri soggetti che dovessero investire nel gruppo. Il punto è che i danni indiretti non sono al momento calcolabili, quindi questo tentativo di mediazione appare tramontato.

“Noi continueremo ad agire in totale buona fede, affinché possa essere trovata una soluzione equa, ragionevole, di mercato”, continuano a ripetere fonti di Atlantia. Appellandosi alla “capacità di mediazione e equilibrio del Presidente Conte e del suo Governo, un riferimento di garanzia per tutti”. Poi sostengono che “ogni richiesta pervenuta dal Governo, nell’ambito delle negoziazioni avviate da luglio 2019, è stata integralmente accettata da Autostrade per l’Italia e Atlantia. E’ stato dato il doveroso e massimo supporto economico e operativo al Commissario Bucci per consentire la più rapida ed efficiente ricostruzione del Ponte. Sono stati stanziati 3,4 miliardi di euro nel Bilancio di Aspi quale importo compensativo, tra cui 700 milioni per la ricostruzione del Viadotto Polcevera e per risarcire i danni diretti. E’ stato accettato il nuovo sistema tariffario voluto dal Governo e dall’Art, che ha ridotto la marginalità della società di 4 punti percentuali. E’ stato accettato l’incremento annuo massimo delle tariffe dell’1,75% – lasciando in carico ad ASPI la totalità dei danni sul traffico generati dal Covid19 – mantenendo al tempo stesso l’impegno di investire fino a 14,5 miliardi di euro e spendendo 7 miliardi di euro in manutenzioni“. Infine, “è stata accettata la totale riscrittura dello schema Convenzionale, a seguito dell’articolo 35 del Milleproroghe, con una riduzione di due terzi del valore di indennizzo in caso di rescissione anticipata della concessione”. Ed “è stato anche accettato di cedere il controllo di Aspi”. Il punto è come, per il governo.

La conclusione a cui arrivano le stesse “fonti” è che “non si capiscono le motivazioni di una eventuale revoca, che provocherebbe un default sistemico gravissimo, esteso a tutto il mercato europeo, per oltre 16,5 miliardi di euro, oltre al blocco degli investimenti”. E naturalmente non manca l’ammonimento che “verrebbero così messi a serio rischio 7.000 posti di lavoro” e “bisogna assolutamente evitare questo scenario nefasto, vista la totale accettazione di tutte le clausole volute dall’Esecutivo”.

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