Condannato in primo grado perché la sua testimonianza con collimava con quanto affermato da un pentito, l'ufficiale - nel cui curriculum ci sono gli arresti di boss e capicosca - era stato assolto in appello. Ieri la decisione degli ermellini
Dopo sette anni tra indagini e processi, il colonnello dei carabinieri Valerio Giardina è stato assolto definitivamente dall’accusa di falsa testimonianza. “Il fatto non sussiste”. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che ieri sera ha rigettato il ricorso formulato dall’ex procuratore generale di Reggio Calabria Dino Petralia, oggi capo del Dap, e dall’avvocato generale Fulvio Rizzo contro l’assoluzione dell’ex comandante del Ros nel cui curriculum c’è l’arresto di boss del calibro di Pasquale Condello, detto il “Supremo”, ma anche capicosca come Gregorio e Giuseppe Bellocco, Pasquale Tegano e il mammasantissima di Africo Giuseppe Morabito, conosciuto con il soprannome “u tiraddrittu”.
In riva allo Stretto, Giardina e la sua squadra sono stati per anni la “bestia nera” delle cosche e hanno collaborato con i magistrati Nicola Gratteri (oggi alla guida della Procura di Catanzaro), Roberto Di Palma e Giuseppe Lombardo. Con quest’ultimo, attuale procuratore aggiunto di Reggio Calabria, il colonnello ha condotto inchieste delicatissime come l’operazione “Meta” contro le cosche reggine svelando i rapporti tra la ‘ndrangheta e la politica. Inchiesta “Meta” sulla quale poggiano le basi alcuni maxi-processi ancora in corso, come “Gotha” che si sta celebrando davanti al Tribunale di Reggio Calabria.
Arresti e inchieste valsi numerosi encomi a Giardina e al suo braccio destro, il maggiore Gerardo Lardieri, l’ex vice-comandante del Ros già assolto in primo grado e oggi in servizio alla guida della sezione di polizia giudiziaria di Catanzaro. L’indagine, nei loro confronti, era partita dall’ex procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone e dal pm Beatrice Ronchi che avevano iscritto nel registro degli indagati i due ufficiali dopo la loro testimonianza nel processo contro la cosca Logiudice. Dai riconoscimenti per le operazioni antimafia al processo il passo è stato breve. Mentre nel processo “Meta”, infatti, il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo aveva affermato che la città doveva dire ‘grazie’ ai due servitori dello Stato per la cattura di Pasquale Condello e per aver liberato Reggio da uno dei più importanti boss della ‘ndrangheta, in quei giorni nella stessa aula bunker altri magistrati accusavano i due carabinieri di aver dichiarato il falso durante la loro testimonianza. Per questo motivo, il procuratore Federico Cafiero De Raho e l’aggiunto Gaetano Paci nel novembre 2017 avevano chiesto il rinvio a giudizio per Giardina e Lardieri contestando, al solo colonnello, addirittura l’aggravante mafiosa.
La stessa Procura che aveva voluto il processo, in primo grado ha chiesto e ottenuto l’assoluzione di Lardieri perché il fatto non sussiste. Giardina, invece, era stato condannato dal gup a un anno e 8 mesi di reclusione anche perché la sua testimonianza con collimava con quanto affermato dal pentito Nino Logiudice detto il “nano”, un collaboratore di giustizia che dopo aver deciso di saltare il fosso è scappato dai domiciliari, ritrattando le sue dichiarazioni, per poi essere catturato e tornare a collaborare con i pm.
La condanna dell’ufficiale dell’Arma, nel luglio 2019 era stata ribaltata dalla Corte d’appello di Reggio che ha assolto il colonnello Giardina perché il fatto non sussiste. Decisione che ieri sera ha trovato il sigillo della Corte di Cassazione. Gli ermellini, infatti, hanno respinto la richiesta di annullamento con rinvio formulata dalla Procura generale, condividendo la tesi difensiva degli avvocati Franco Coppi e Francesco Gambardella.