“Il mezzo è il messaggio”, diceva Marshall McLuhan e Armani lo ha preso alla lettera: in un periodo storico in cui la parola d’ordine è “streaming” e in cui tutti si riversano sul web e sui social media, lui ha scelto di ridare centralità all’ormai tanto bistrattata televisione, riconsegnando al piccolo schermo il ruolo “pedagogico” e inclusivo, punto di riferimento per la collettività ormai perduto. Così, a 86 anni, ha cambiato ancora una volta le regole e ha trasformato quella che era una chiusura, imposta dall’emergenza coronavirus, in un’apertura senza precedenti
“Per una volta tutti, addetti ai lavori e non, hanno visto una mia collezione insieme, nello stesso momento, senza gerarchie o privilegi. Se democrazia deve essere, che sia vera”. Giorgio Armani il rivoluzionario. Non era mai successo prima nella storia della moda che uno stilista presentasse la sua collezione in televisione. Mai. Ma lui ha deciso di rompere ancora una volta gli schemi e dire basta ai défilé appannaggio di una cerchia ristretta e selezionatissima di addetti ai lavori, pronti a disporsi rigorosamente in ordine gerarchico sulle poche file di posti a sedere. Lo scorso febbraio era stato il primo a sfilare a porte chiuse intuendo la portata dell’epidemia di coronavirus che proprio nei giorni della Settimana della Moda di Milano si preparava a travolgere la Lombardia e l’Italia intera come uno tsunami. Questa volta ha sbaragliato il campo e ha fatto sfilare la sua Primavera/Estate 2021 in televisione, sabato scorso, in prima serata, su La7. Cosa c’è di più democratico, italiano, nazional-popolare? Un evento storico, una novità assoluta, una linea di cesura destinata a marcare per sempre un “prima” e un “dopo”.
“Il mezzo è il messaggio”, diceva Marshall McLuhan e Armani lo ha preso alla lettera: in un periodo storico in cui la parola d’ordine è “streaming” e in cui tutti si riversano sul web e sui social media, lui ha scelto di ridare centralità all’ormai tanto bistrattata televisione, riconsegnando al piccolo schermo il ruolo “pedagogico” e inclusivo, punto di riferimento per la collettività ormai perduto. Così, a 86 anni, ha cambiato ancora una volta le regole e ha trasformato quella che era una chiusura, imposta dall’emergenza coronavirus, in un’apertura senza precedenti, portando la moda nelle case e soprattutto nella vita degli italiani, per “parlare alla gente”. Non è soltanto un nuovo modo di comunicare, ma molto di più. Perché Armani si è calato nei panni dello spettatore che si trovava ad assistere per la prima volta ad una sfilata di moda e, anziché stupirlo a tutti i costi imponendogli uno show dai mille effetti speciali, ha provato a spiegargli il suo lavoro, la realtà concreta fatta di studio e manualità che fa sì che ogni suo abito sia un sogno ad occhi aperti. “La gente comune non sa cosa c’è dietro tutto questo – ha spiegato Armani –. Così ho introdotto la sfilata con un montaggio di immagini e interviste d’archivio, narrato dalla voce di Pierfrancesco Favino”. Un esperimento unico nel suo genere, ma capace di tenere incollati allo schermo oltre 685mila spettatori.
Signor Armani, come è maturata l’idea di presentare la sua collezione in diretta tv?
Come spesso accade, non è stata un’idea maturata a lungo, quanto piuttosto un’intuizione, una decisione istintiva, che poi ho messo in atto. Tutto nasce dal mio desiderio di dialogare con il pubblico in maniera aperta, senza troppi filtri, e dalla facilità con la quale tutto questo avviene. Ne ho avuto una riprova evidente durante il lockdown. Il mio impegno – dalla conversione degli stabilimenti produttivi, al messaggio per gli operatori sanitari, alla lettera aperta a WWD – ha avuto una eco del tutto inaspettata. Sono stato letteralmente inondato da messaggi di professionisti e persone comuni. Si è come aperto, subito, un canale diretto e autentico di comunicazione, che ho voluto mantenere. Anche ai nostri giorni, il fascino della TV è innegabile. Lo è certamente in Italia, quindi cosa meglio di una sfilata televisiva, di sabato, in prima serata? Per una volta tutti, addetti ai lavori e non, hanno visto una mia collezione insieme, nello stesso momento, senza gerarchie o privilegi.
Che effetto fa sfilare senza pubblico ma con la consapevolezza che milioni di italiani la stanno seguendo?
Mi elettrizza perché è qualcosa di nuovo. Finora la sfilata è sempre stata un dialogo tra me e i professionisti del settore. Adesso sono ammessi tutti, senza limiti o barriere. Le famiglie si sono potute riunire davanti alla propria TV, in un orario serale, e condividere un momento speciale in piena sicurezza.
Come ci si approccia al grande pubblico generalista della televisione?
Questa è una sfilata innovativa per il mezzo scelto, ma l’ho pensata come sempre nei contenuti: presento la mia visione della moda di questa stagione, ad un pubblico molto vasto così come agli addetti ai lavori. I trucchi e gli effetti speciali non sono cosa mia. La sfilata, però, è stata preceduta da un breve film, un montaggio di interviste e immagini di repertorio, che attraverso un racconto – la voce narrante è dell’amico Pierfrancesco Favino – spiega la mia visione, anzi, i miei pensieri: Pensieri senza tempo, che caratterizzano da sempre il mio lavoro, e che vorrei che il pubblico apprezzasse al di là di tutto. Con questa introduzione, la sfilata ha potuto essere letta dai telespettatori nel suo giusto contesto.
Come si è passati dalla sfilata “per addetti ai lavori”, riservata ad una élite selezionatissima, alla sfilata in tv?
L’ultimo decennio è stato di apertura, su tutti i fronti, almeno nella comunicazione, basti pensare al digitale. Io ho voluto spingere il processo un po’ più in là, perché se non tutti posseggono uno smartphone o un computer, magari solo per limiti di età, quasi tutti posseggono una TV. Il mezzo televisivo, inoltre, distrae meno del digitale, ed è domestico, intimo. Arriva in tutte le case, senza problemi di linea. Se democrazia deve essere, che sia vera.
Che portata avrà questo cambiamento epocale sul mondo della moda e sul suo approccio comunicativo?
Non so dirle se questa mia scelta sarà seguita da altri e se la moda intera entrerà in un’era di democrazia totale. Io ho scelto la televisione per raggiungere un pubblico vasto e vero.
Quanto ha influito la pandemia e gli stravolgimenti che ha comportato?
La pandemia ha influito moltissimo. È stata, ed è, uno shock che ha costretto tutti a ripensare strumenti e dinamiche, a riscoprire una nuova autenticità e un modo più umano di essere connessi. È stata una sveglia: dura, ma necessaria. Mi auguro che ne faremo frutto tutti, senza dimenticare in fretta.
E proprio da questa spinta al cambiamento, a rallentare, a rendere il sistema moda più legato alla realtà, all’autenticità, alle esigenze vere delle persone è nato il concetto di “Pensieri senza tempo” che ha fatto da fil rouge alla sua collezione. Un ossimoro se vogliamo, perché i capi che hanno sfilato in passerella racchiudono ciascuno in sé qualcosa della storia di Armani, concetti e idee sempre attuali, che riconferiscono alla moda un orizzonte infinito, un’eternità svincolata dall’istante che ci impongono oggi i social come legge.
In questi mesi, Armani è stato il primo a sollevare una riflessione sulla necessità di una moda più attenta, vicina alla realtà, alle esigenze del quotidiano, etica e responsabile. Idee che si sono fatte realtà tangibile, dando vita alla collezione che abbiamo visto in tv. D’altra parte, che quest’uomo avrebbe sovvertito le regole del mondo della moda lo si era capito già quando, nel lontano 1980, ha preso la giacca maschile e l’ha “scarnificata”, come lui stesso ha definito in passato quel processo, mettendola addosso a un giovanissimo Richard Gere che debuttava come protagonista in American Gigolò e facendone un oggetto del desiderio e un’icona di stile e seduzione (e non a caso il film è andato in onda proprio dopo la sfilata, sabato sera).
Perché se è vero che Giorgio Armani è in un certo qual senso lui stesso un personaggio nazional-popolare; il suo stile e la sua eleganza essenziale e riservata, ricca di sfumature ma scevra di opulenza, sono quanto di più lontano dai canoni della moda generalista, la stessa che oggi alimenta una volgarità ostentata a tutti i costi. Giorgio Armani è lo stilista imprenditore che ha costruito da solo la sua fortuna, il rivoluzionario rimasto sempre fedele a sé stesso, colui che ha lanciato le mode ma non vi si è mai adeguato, senza temere i giudizi ma rimanendo ben saldo nelle sue radici. Per questo “Re Giorgio”, come lo chiamano molti addetti ai lavori, affascina incutendo, al contempo, un certo timore.
La sfilata – È la voce di Pierfrancesco Favino a introdurre lo spettatore, conducendolo per mano nel mondo Armani. Lo guida attraverso “pensieri senza tempo” che racchiudono e spiegano la filosofia dello stilista, mentre sullo schermo scorrono le immagini di “re Giorgio” al lavoro nella sua sartoria e in interviste d’archivio. Venti minuti di video-documentario hanno preceduto la messa in onda della sfilata Primavera/Estate 2021 di Giorgio Armani, sabato in prima serata su La7. Un’anticamera necessaria, per preparare il pubblico generalista a quell’esperienza per lui del tutto nuova che è una sfilata di moda. Poi ecco comparire finalmente uno dopo l’altro i modelli con i capi di questa collezione che porta con sé il cambio di passo dell’era post-Covid.
Ecco allora comodi pantaloni fluttuanti, in tutte le sfumature del “greige”, vestire uomini e donne; giocando con fantasie astratte dai rimandi floreali o ritmiche geometriche ton sur ton. Poi ancora il verde giada, pennellate di indaco polveroso e un pizzico di nero. Quel nero. Che siano mat o scintillanti, tutti i capi sono stati pensati per passare in secondo piano rispetto all’individuo che li indossa. La silhouette, sia femminile che maschile, è essenziale, morbida, fluida: tornano le iconiche giacche destrutturate, i pantaloni con le pence, gli abiti lunghi. Con quel mix di rigore e sensualità che solo Armani, come un alchimista, riesce a calibrare, fermando letteralmente lo scorrere del tempo.