Lavoro & Precari

“Troppe assenze a causa del Covid”: licenziato dal supermercato a un passo dalla pensione. “Gli ultimi 7 mesi mi hanno sconvolto la vita”

L'uomo lavora da 33 anni nel punto vendita Famila di Casalpusterlengo. “Quando ero ricoverato in ospedale, vedevo passare in corridoio almeno 5-6 bare al giorno", racconta. Dopo la guarigione, un nuovo ricovero per miocardite che per i medici è una conseguenza del Covid. Poi la doccia fredda. I sindacati: violate le direttive del Cura Italia. Contattata dal Fatto.it, l'azienda non fornisce chiarimenti

“Ricevere a casa la lettera dell’azienda per cui lavori da 33 anni, con cui ti licenziano, mentre stai ancora cercando di guarire dagli effetti del Covid è stata una mazzata”. F.F., 60 anni, uno dei salumieri “storici” del punto vendita Famila di Casalpusterlengo, è devastato. “Gli ultimi sette mesi mi hanno sconvolto la vita. Quando ero ricoverato in ospedale a Crema, dal mio letto vedevo passare in corridoio almeno 5-6 bare al giorno – racconta con la voce rotta dall’emozione – poi la miocardite, conseguenza del coronavirus. E adesso il licenziamento, che mi ha buttato proprio a terra. Anche se in questi giorni ho visto la vicinanza di tante persone, dentro sto male”. Come tanti suoi colleghi del settore grande distribuzione, durante i primi giorni della zona rossa del Basso Lodigiano, F. F. ha continuato a lavorare. Sempre presente fino al 29 febbraio, nonostante le preoccupazioni e le incertezze. Poi, la mattina del 1° marzo, sono comparsi i sintomi del coronavirus.

“Prima la febbre, poi ogni giorno che passava respiro sempre più affannoso, e la temperatura non scendeva nemmeno con la tachipirina – ricorda – Il 7 marzo mia moglie ha contattato l’Ats. Hanno mandato l’ambulanza a prendermi e sono stato ricoverato all’ospedale di Crema la sera stessa. Da sabato, quando sono arrivato, a lunedì, i miei polmoni erano già peggiorati parecchio. Mi hanno portato in reparto: mi davano l’ossigeno per qualche ora, la mia saturazione comunque non è mai stata eccessivamente bassa. Mi hanno curato con le terapie antivirali, ho preso 12 pastiglie al giorno per 6 giorni. F. F. è stato dimesso il 18 marzo, ha proseguito a casa con altri 14 giorni di quarantena. E poi si è sottoposto regolarmente alle visite di controllo presso il centro Covid di Codogno. “Quando sono tornato a casa non ero ancora guarito completamente, avevo ancora evidenti addensamenti da polmonite interstiziale”.

Verso fine luglio, quando tutto sembra passato, per F.F. arriva il momento di tornare alla normalità. Dunque la visita dal medico del lavoro, in azienda: “Sarei rientrato ma non avrei più potuto svolgere le mansioni di prima, perché non potevo più stare vicino alle celle frigorifere”. Prima di ricominciare a lavorare, F.F. aveva in programma un controllo cardiologico, come tutti gli anni, per via della sua attività da ciclista amatore. Dopo l’applicazione dell’holter emerge però una seria aritmia, tanto che il cardiologo lo contatta subito consigliandosi di recarsi in Pronto Soccorso. Dopo una notte sotto osservazione viene ricoverato in cardiologia a Lodi per 15 giorni. Diagnosi: miocardite. Per i medici una conseguenza del Covid. Ora deve andare in giro con un defibrillatore provvisorio, che dovrà tenere almeno fino a novembre. Poi si vedrà: se non dovesse guarire, dovranno installargli un pacemaker.

Nel frattempo l’Inail gli ha riconosciuto l’infortunio sul lavoro, con un certificato che arriva fino al 12 ottobre. Ma la scorsa settimana la doccia fredda. Una raccomandata, dal gruppo Maxi-Di: a causa della sua prolungata assenza, superiore ai 190 giorni (secondo i calcoli della ditta), gli viene comunicato il recesso del rapporto di lavoro. F.F. si è subito rivolto al sindacato, che gli ha confermato che l’azienda non avrebbe tenuto in considerazione le direttive del decreto Cura Italia, per cui il periodo di infortunio per Covid non deve essere conteggiato. La società proprietaria di Famila, con sede a Verona, ha un ufficio del personale raggiungibile solo via email: contattata da Ilfattoquotidiano.it non ha risposto alla richiesta di ulteriori chiarimenti sul caso del suo, ormai, ex dipendente. Nessuna delucidazione nemmeno dal punto vendita di Casalpusterlengo.

“Ho lavorato 41 anni, di cui 33 sempre per questa azienda. Mi mancano 17 mesi per andare in pensione. Mi sembra di essere caduto in un burrone e tutte le volte che provo a risalire, qualcosa mi ributta giù. Ho rischiato di lasciarci la pelle per il Covid, poi per la miocardite. E ora questo. A livello emotivo sono distrutto. L’unica cosa che riesce a darmi un po’ di spensieratezza è la mia nipotina di 15 mesi. Ma la sera quando vado a letto tutti i pensieri, tutte le angosce, tornano”.