In un laboratorio di Shanghai un gruppo di ricercatori ha isolato 381 nanoanticorpi specifici contro Covid-19, prodotti da quattro cammelli immunizzati con una piccola porzione della proteina spike di Sars-Cov2 (quella che forma le “punte” della corona del virus ed è responsabile dell’ingresso nelle cellule umane). I nanoanticorpi sono dei frammenti di anticorpi che si formano nei camelidi, cioè la famiglia di cammelli e lama. Il più potente di quelli selezionati nello studio è stato poi riprodotto su larga scala e secondo i ricercatori potrebbe essere utilizzato tramite inalazione, quindi come uno spray nasale qualsiasi, per prevenire o sconfiggere Covid 19. La ricerca è stata pubblicata su Biorxiv, un archivio online di articoli scientifici non ancora sottoposti a revisione paritaria (cioè alla valutazione degli specialisti del settore che precede la pubblicazione su una rivista scientifica), ma non convince il direttore di Aifa, Nicola Magrini: “Gli anticorpi di cammello sono di moda nei laboratori di ricerca, molto meno nello sviluppo di prodotti farmaceutici”.
In che senso, direttore?
I nanoanticorpi sono facili da produrre e replicare in grandi quantità in colture cellulari, a basso costo, ma nell’uomo inducono una risposta immunitaria contro l’anticorpo stesso. Noi cioè non li riconosciamo come nostri. Inoltre, la loro sopravvivenza è molto breve. Tutto questo non fa ben sperare che funzionino da terapia efficace contro il virus. La produzione di questi anticorpi animali è una tecnica di prima generazione, meno innovativa rispetto a quella di seconda generazione che impiega gli anticorpi umani monoclonali. Lo spray nasale anticovid è al momento solo un’ipotesi, non ancora dimostrata, interessante ma sembra poco fattibile e ancora abbastanza lontana.
Quindi maggiori garanzie di successo potrebbero arrivare dall’uso di anticorpi monoclonali umani?
Assolutamente. È un procedimento estremamente più promettente su cui puntiamo e su cui il Governo italiano ha deciso di investire. La produzione estrattiva da alcuni animali si faceva quando non eravamo in grado di produrre anticorpi monoclonali perfettamente compatibili col nostro sistema immunitario. La scienza oggi non solo riesce a sviluppare anticorpi umani ma individua anche quelli super potenti. Un traguardo che ci dà ulteriore fiducia. Abbiamo visto infatti che il 5-10 per cento di chi prende il Covid non sviluppa anticorpi, la metà circa li produce ma non in quantità elevata e un 20-30 per cento ne fa molti. E la capacità neutralizzante degli anticorpi varia anche di dieci, cento volte. In pratica la risposta immunitaria a Sars-Cov2 non è uguale in tutti gli individui come nel caso del morbillo. A Siena il team di ricerca guidato da Rino Rappuoli, in collaborazione con l’istituto Spallanzani, da un campione di cento pazienti di Covid ha selezionato i tre anticorpi più potenti specificamente diretti contro il virus. Lo step successivo sarà clonare il migliore tra questi.
Come funzionerà questa potenziale cura?
Sarà destinata a tutti i positivi al virus, sintomatici e non. Entro novembre inizierà la fase di sperimentazione sull’uomo e tra febbraio e marzo avremo i primi dati. Questa terapia potrebbe innanzitutto avere il beneficio aggiunto di essere somministrata direttamente a domicilio attraverso un’iniezione intramuscolo perché ne bastano piccole quantità. Non serviranno trattamenti ospedalieri per infusione per intenderci.
Il trattamento con anticorpi monoclonali si è rivelato efficace già contro altre malattie?
I monoclonali hanno funzionato per Ebola. Quelli umani però non sono ancora stati registrati dalle agenzie regolatorie. Se tutto va come auspicato, questa sarà la prima volta.
Al momento nel mondo ci sono circa 250 candidati vaccini anticovid ma solo per una quarantina di questi è iniziata la fase di sperimentazione sull’uomo. Dobbiamo avere fiducia?
Dai primi risultati alcuni vaccini hanno dimostrato di garantire un’ottima risposta immunitaria. Il problema è che non sappiamo la durata di questa copertura. Non abbiamo dubbi che duri 6 mesi, ma non sappiamo ancora se arrivi a 9-12 mesi. Solo quando avremo la certezza che il vaccino proteggerà il soggetto per 9-12 mesi, tireremo una grande respiro di sollievo.
Perché?
Vorrà dire che sarà efficace e duraturo. Non possiamo però ipotizzare che servano due richiami perché sarebbe infattibile. Già oggi siamo in affanno per vaccinare 12 milioni di persone per l’influenza, se pensiamo di vaccinarne 20 milioni contro il Covid per due volte l’anno non ce la facciamo.