Qualche giorno orsono un amico mi ha chiesto: “Tu che fai lo psichiatra e psicoanalista che idea ti sei fatto di questo strano omicidio? Secondo i giornalisti (che riportano la frase del ragazzo) l’assassino l’avrebbe messo in atto perché era invidioso della felicità dei due amici”. Non ho saputo rispondere perché, nel mio lavoro, solo l’elaborazione interiore riesce, non sempre, a fornire dei lumi. In questi giorni, però, la domanda mi tornava in mente mentre parlavo, soprattutto con ragazzi giovani.
Una ventiquattrenne mi confidava i suoi dubbi, ora che si è laureata. Non capisce cosa le interessi realmente, tutto le appare scialbo. Immaginare di farsi assumere o di iniziare una professione, per poi ritrovarsi per cinquant’anni sempre nello stesso ufficio a sbrigare pratiche la terrorizza. Pur essendo laureata a pieni voti alla Bocconi in Economia sta seriamente pensando di provare a cambiare vita e dedicarsi a tutt’altro. L’attira il mondo delle modelle, della moda. Una sua conoscente sbarca il lunario con l’attività di influencer. Forse quella è un’attività gratificante?
Un ventenne che ha appena iniziato la facoltà di Medicina mi racconta che, per anni, ha accarezzato il sogno di diventare calciatore. In effetti ha avuto delle opportunità che, però, ora sono svanite. Riflettevo con questi due ragazzi sulla difficoltà nell’elaborare un desiderio autentico, che non sia stereotipato e condizionato dalla pubblicità. Nella nostra società è in atto, in modo subdolo, una manipolazione massiccia della funzione desiderante. I giovani che attraversano la fase dell’adolescenza, ora spesso troppo prolungata, sono l’oggetto principale di questo bombardamento mediatico.
Per essere un ottimo consumatore il ragazzo deve essere moderatamente infelice e insoddisfatto, in modo che ricerchi degli oggetti o status symbol che riempiano il suo vuoto esistenziale. Scoprirà che possedere quel cellulare, grazie al quale, secondo la pubblicità, sarebbe stato al centro delle attenzioni di bellissime ragazze in una festa a bordo piscina, in realtà non ha cambiato per nulla la sua esistenza e il senso di vuoto interiore. Proprio questo vuoto interiore di desiderio da riempire ad ogni costo mi pare l’unica chiave interpretativa che mi è venuta in mente per questo “strampalato” omicidio.
Si può ipotizzare che questo povero ragazzo nella sua patologia mentale abbia riempito il vuoto che avvertiva con le risate, i sorrisi e i gesti dei suoi coinquilini. Quando loro lo hanno allontanato da casa perché, giustamente, volevano costruire la loro vita di coppia, si è sentito improvvisamente svuotato e, nella sua paranoia, ha elaborato una rabbia sorda verso coloro che non riempivano più il suo desiderio. Non si è reso conto che doveva colmare da solo quel vuoto di desiderio che avvertiva dentro.
Insomma un ragazzo che parassitava il desiderio della coppia con cui conviveva. Quasi come un bambino neonato che, fisiologicamente, vive attraverso i desideri dei genitori. Proprio un neonato, come ci insegna la psicologia, può provare istinti sadici e aggressivi se i genitori si appartano e lo lasciano solo. Queste emozioni, normali nei neonati, non lo sono in un ventenne che per questo appare gravemente malato.
Questa spiegazione che ora mi sento di offrire all’amico che mi ha posto alcuni giorni orsono la domanda è naturalmente parziale. Non potrà mai comprendere l’universo interiore di un ragazzo di vent’anni che ha commesso un duplice omicidio. Dovrà essere il collega che lo prenderà in carico, da un punto di vista psichiatrico, a cercare di capire e, se possibile, curare la grave psicopatologia di questo giovane assassino. A noi spettatori di questa orribile e disumana violenza una chiave interpretativa serve per lenire il senso di estraneità e per elaborare dei progetti che limitino l’aggressività repressa di tanti giovani che ci circondano.
Giovani che in troppe occasioni si sentono svuotati dalla funzione desiderante. Non sanno cosa desiderare. Sono stati talmente manipolati sul versante del desiderio che ormai non sanno più, se sgorghi dentro di loro o sia imposto da un modello sociale e dalla pubblicità che imperversa. Spesso sono preda di voglie che, per definizione, sono effimere e non durano. Soprattutto, lasciano un gusto amaro ogni volta che sono soddisfatte perché non offrono un senso alla vita.