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Mediterraneo, gli Usa vogliono la loro base militare in Grecia. Ecco perché è l’alternativa alla Turchia

Il Pentagono però non ha mai avallato pubblicamente queste voci, ma la Grecia di fatto sta diventando il nuovo hub militare Usa nel Mediterraneo orientale, anche per ragioni di carattere energetico

Come sta cambiando la strategia americana nel Mediterraneo orientale e centrale? Le nuove interlocuzioni sull’asse Washington-Atene, sommate alle tensioni create dalla Turchia si riveleranno decisive per i futuri equilibri?

Un passo in questa direzione lo ha fatto il Segretario di Stato americano, Mike Pompeo, in visita in Grecia per la seconda volta in un anno. Da tempo gli Usa stanno ufficiosamente ragionando sul ruolo passato della base turca a Incirlik e su quello futuro da affidare, in sostituzione, proprio alla Grecia, con cui il nuovo accordo militare siglato a dicembre scorso permette a mezzi e uomini a stelle e strisce di utilizzare quattro basi in terra ellenica, dove già ci sono droni e caccia.

Il Pentagono però non ha mai avallato pubblicamente queste voci, anzi uno dei suoi portavoce, il tenente colonnello Thomas Campbell, ha recentemente dichiarato che gli Stati Uniti “non hanno intenzione di porre fine alla presenza alla base aerea di Incirlik“. Ma nel frattempo la posizione turca in Siria, Libia, Cipro e adesso anche nel Nagorno Karabakh si sta rivelando più intraprendente del previsto anche per Washington.

La Grecia di fatto sta diventando il nuovo hub militare Usa nel Mediterraneo orientale, anche per ragioni di carattere energetico. Il porto di Alexandrupolis, su cui è prossima la privatizzazione da parte di players americani, è un “occhio” anche sui gasdotti Tap e Tanap che da lì transitano, oltre che assicurare uno sbocco marittimo in direzione Balcani per le truppe Usa e Nato che lì arrivano. Rappresenta anche il controcanto atlantico all’influenza di Mosca sul porto di Salonicco, recentemente privatizzato da un consorzio di cui fa parte l’oligarca ellino-russo Ivan Savvides, già deputato alla Duma e forte di una relazione privilegiata con Vladimir Putin.

Inoltre gli sforzi americani sui cantieri navali ellenici a Syros e Skaramangas hanno come punto di caduta la possibilità di dare fiato (e appalti) al sistema ellenico. Non va dimenticato, inoltre, che il fronte anti-Turchia incarnato da gruppi di fede musulmana, cattolica, ortodossa ed ebraica sta collaborando armoniosamente per ribaltare le intenzioni di Erdogan nel Mediterraneo orientale e nell’Egeo. Il riferimento è alla cooperazione tra i ministri degli Esteri di Israele, Grecia, Egitto, Francia e Emirati Arabi Uniti che stanno facendo fronte comune contro le minacce turche avanzate contro Libia, Grecia e Cipro per interessi legati al dossier energetico.

Pompeo ha anche dato il via libera al raddoppio della base di Souda bay a Creta, che diventerà il nuovo avamposto verso il Medio Oriente (logistico e dell’intelligence). Per ora diventa sede permanente per l’enorme nave da guerra USS Hershel “Woody” Williams, la nuovissima portaelicotteri Usa con i V-22 Osprey a decollo verticale. La visita di Pompeo a Creta, nella residenza privata del premier Kyriakos Mitsorakis, mira a chiarire anche questo aspetto: il senatore Ron Johnson ha pubblicamente detto che gli Stati Uniti stanno costruendo l’installazione navale a Souda bay come alternativa a Incirlik.

Ufficialmente non ci sarà una parola adesso di Pompeo viste le concomitanti crisi in Libia, Siria e Nagorno: ma il dato è, nei fatti, ormai tratto. Le tensioni bilaterali Usa-Turchia stanno spingendo i funzionari del Pentagono ad accelerare le riflessioni su un possibile ritiro da Incirlik, perché si teme che qualche militare Usa venga rapito o usato come baratto in un fazzoletto di terra dove i desiderata di Erdogan contano più di trattati internazionali e diritti umani. In sostanza Washington lavora ad un’alternativa, già pronta in Grecia, in caso di rottura. Rottura che, nessuno al momento può escluderlo, potrebbe avvenire anche con Biden vincente.

twitter @FDepalo

(immagine d’archivio)