Salutare i familiari malati di Covid e riuscire a dare loro l’addio. Il progetto era in corso di elaborazione da tempo, da quando la prima ondata di pandemia aveva aggiunto dolore a dolore, impedendo a coniugi, genitori e figli di poter incontrare il loro congiunto, isolato in una stanza di ospedale. Tutti i familiari delle vittime del coronavirus hanno dovuto prendere atto della morte da una telefonata, al massimo sono riusciti ad avere un contatto visivo nelle ultime ore attraverso il cellulare. Adesso parte da Padova un’iniziativa pilota: consentire che l’estremo saluto avvenga di persona. Il direttore sanitario dell’Azienda ospedaliera, Daniele Donato, ha ricevuto dal Comitato Etico il via libera a un progetto che ha conosciuto un’accelerazione grazie anche alle richieste dei familiari di tanti pazienti.
“All’inizio eravamo assorbiti dal problema di dare protezione agli operatori e ai malati. Ma in questi mesi siamo diventati più esperti e abbiamo messo a fuoco la possibilità di garantire un contatto con il malato da parte dei parenti”, spiega il dottor Donato. “In passato avevamo creato la possibilità di una comunicazione attraverso un I-Pad o WhatsApp. Almeno potevano vedersi. Adesso il Comitato Etico ha predisposto un documento per consentire l’umanizzazione di questa fase cruciale, garantendo il contatto con il malato”.
Da un punto di vista pratico si tratta di un accesso alla stanza di degenza con le tecniche di protezione previste per medici e operatori sanitari. Soltanto che a utilizzarle sono i familiari, come se accedessero a un reparto di terapia intensiva. Le precauzioni sono ancor più stringenti e vengono precedute da un tampone, per evitare che chi entra sia un portatore di Covid. “Si tratta di un incontro limitato a una persona e circoscritto per durata, ma costituisce comunque un grande passo avanti. In questo momento a Padova, fortunatamente, abbiamo un numero di pazienti molto inferiore alla scorsa primavera: 26 ricoverati in malattie infettive, quando in precedenza erano 150, di cui 4 in terapia intensiva, anziché una quarantina”.
Ad accelerare la definizione di questo protocollo ha contribuito anche la civile protesta delle figlie del cardiologo Sergio Dalla Volta, un luminare della medicina, padovano, deceduto il 20 agosto scorso. “Si sono dimostrate assolutamente disponibili e in quella occasione è stato dato il consenso a un contatto, anche se non esisteva ancora un protocollo” spiega il dottor Donato. La figlia Maurizia, musicista e insegnante al Conservatorio di Parigi, si trovava a Padova quando il padre è stato colpito da un infarto e ricoverato. Solo successivamente è risultato positivo al coronavirus e quindi è scattata la procedura di isolamento. “Ma aveva una carica virale bassa, rimanendo praticamente asintomatico, senza traccia nei polmoni” spiega. “Era intubato, sofferente e solo come un Cristo in croce. È morto così nostro padre, senza il conforto della mano di una figlia sulla sua, in una sofferenza psicologica disumana di cui ero testimone quando lo vedevo sul tablet, pur essendo a cinque minuti dall’ospedale”. Così racconta la signora Maurizia, che però non si era rassegnata e si era rivolta alla direzione sanitaria, per ottenere una deroga.
“Mio padre stava vivendo le sue ultime ore e saperlo solo era una sofferenza disumana… è stato un padre meraviglioso. Avevo chiesto se fosse possibile andare a dargli un ultimo bacio”. Non glielo hanno consentito perché la legge è tassativa. Hanno solo autorizzato un veloce addio alla salma. “Ci hanno detto che i pazienti Covid vengono ancora messi in un sacco e nella bara senza che le famiglie possano dar loro un estremo saluto, come se scomparissero in mare. Eppure il rischio sanitario era praticamente nullo. Sarebbe stato infinitamente maggiore, se vogliamo, alla funzione religioso”. Protette da tute e guanti, hanno potuto solo infilare nel sacco una lettera e due fotografie.
È per questo che le figlie del professor Dalla Volta avevano lanciato un appello: “Chiediamo alle autorità italiane di rendere regolarmente accessibile alle famiglie la possibilità di vedere un’ultima volta i loro cari. Pur nella tristezza è una piccola consolazione antica che aiuta in qualche modo a elaborare il lutto“. E avevano aggiunto: “Chiederemmo anche che venga concessa, con le dovute precauzioni, la visita ai parenti in fin di vita. Non averlo potuto fare per nostro padre resta un trauma dolorosissimo perché viola una necessità fondamentale iscritta da sempre nel dna dell’essere umano. È una crudeltà inutile e ingiustificata dai numeri. Ma quale deriva etica terrificante è quella di una società in cui queste cose sono permesse al consumatore, all’homo economicus, al quale si aprono bar, ristoranti e stadi con la sola accortezza di una mascherina, mentre ai figli non è concesso di andare a salutare i padri morenti, neppure bardati come astronauti?”. Adesso il Comitato Etico di Padova ha dato l’assenso, con un documento che spiega motivazioni e modalità per garantire la sicurezza sanitaria, ma allo stesso tempo non negare la pietas umana nel momento della morte.