È da rifare il processo d’appello sulle dispersioni di polveri di carbone dalla centrale Enel di Brindisi sui raccolti degli agricoltori che hanno i loro terreni vicino all’impianto. La Corte di Cassazione ha stabilito l’annullamento della sentenza di secondo grado, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Lecce. A quanto si evince dal dispositivo, ad essere stati condivisi sono alcuni motivi dei ricorsi della Provincia di Brindisi, parte civile al fianco dei coltivatori, che oltre al danno patrimoniale e di immagine ottenuto chiede anche il riconoscimento del “danno ambientale”, e le osservazioni delle difese dei due manager Enel condannati: Antonino Ascione e Calogero Sanfilippo per cui era stata stabilita e confermata una pena di 9 mesi di reclusione, con la sospensione condizionale.

I reati contestati sono getto pericoloso di cose e danneggiamento aggravato. Per la prima contestazione, la prescrizione potrebbe essere già maturata. Per la seconda potrebbe comunque essere vicina, poiché i fatti sono riferiti a un periodo di tempo compreso tra il 2000 e il 2012. Il verdetto di secondo grado aveva già sancito l’estinzione dei reati e il non luogo a procedere per altri due funzionari, Sandro Valery e Luciano Mirko Pistillo. Undici erano stati gli assolti in primo grado, su un numero complessivo di 15 imputati.

In appello uno dei punti più rilevanti era stato proprio il ragionamento sul danno rivendicato dalla Provincia di Brindisi le cui istanze erano state rigettate in un primo momento. “Non può dubitarsi – scrivevano i giudici – che le condotte delittuose accertate abbiano potenzialmente leso diritti soggettivi, a contenuto patrimoniale e non, di cui l’ente provincia è titolare o comunque centro di riferimento e di tutela, anche esclusiva, secondo l’analitica prospettazione contenuta nell’atto di costituzione, ribadita con quello d’appello (redatti entrambi dall’avvocato Rosario Almiento, ndr), in perfetta sintonia con la natura e la diffusione del tempo delle condotte illecite accertate nel presente procedimento”.

I diritti soggettivi “lesi” a cui i giudici facevano riferimento erano subito dopo elencati: “Il diritto alla salute, l’iniziativa economica nel settore agricolo, il diritto all’immagine, l’integrità del patrimonio provinciale intaccato dalle maggiori spese necessarie per la pulizia e la bonifica dei terreni e delle strade provinciali contaminate dalla polvere di carbone, l’incremento delle spese di promozione turistica, oltre al danno morale dell’immagine e perdita di chance”. Non veniva incluso il danno ambientale, ma solo perché una norma del 2006 stabilisce che è solo lo Stato, attraverso il ministero dell’Ambiente, a poterlo rivendicare. Ministero che non si è mai costituito parte civile nel processo.

Quanto alle accuse principali, nei faldoni dell’inchiesta erano finite numerose mail scambiate fra i manager che discutevano proprio degli agricoltori definendoli “rompicoglioni” e “piattole”. Per capirne di più, si dovranno attendere le motivazioni della Cassazione: tuttavia, sebbene si tratti di un annullamento con rinvio che cassa l’intera sentenza, dalle precisazioni offerte nel dispositivo sui ricorsi accolti, non dovrebbe essere in discussione la quota risarcitoria imposta a Enel Produzione, quale responsabile civile, nei confronti dei contadini. I proprietari di terreni in cui si coltivano carciofi, angurie, uva e pomodori, che avevano denunciato in più esposti di aver dovuto buttare via i prodotti dei campi perché ricoperti da una coltre nera. Si trattava di minerale secondo quanto poi accertato dagli inquirenti, cenere di stoppie per le difese Enel che per tutta la durata del dibattimento hanno sempre fatto riferimento a una incertezza sostanziale nella qualificazione di quei materiali.

Le difese, scrive Enel in una nota, “ricordano che a nessun livello aziendale sono mai state mai violate le normative e le autorizzazioni relative alla centrale”. Che, sostiene l’azienda, “nel corso dei primi due gradi, i giudici non avevano adeguatamente valorizzato il materiale probatorio che testimoniava l’enorme mole di investimenti (pari ad oltre 700 milioni di euro) costantemente effettuati nel corso degli anni”. Di certo c’è che la copertura dei carbonili con una struttura hi-tech costata milioni di euro, avvenuta durante il processo, ha eliminato il problema dopo oltre vent’anni di funzionamento della centrale. Il progressivo spegnimento dei gruppi della centrale che, in vista dell’uscita dall’era del carbone, va verso la riconversione a gas, è ora la pietra tombale. Se l’addio al carbone è ormai stato sancito, con scadenza prevista nel 2025, la vicenda giudiziaria dovrà ancora proseguire prima che si giunga a un verdetto definitivo. Una corsa contro il tempo dopo oltre 8 anni di processo.

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