Dagli intrighi finanziari alla stagione dei veleni. L’inchiesta sugli scandali economici della Segreteria di Stato si infittisce e appare sempre più come una vera e propria resa dei conti all’interno del Palazzo Apostolico Vaticano. Accuse di dossieraggi fabbricati ad arte con lo scopo di mettere alla gogna mediatica i propri nemici. A parlare è uno degli indagati, monsignor Alberto Perlasca, coinvolto nell’inchiesta sull’acquisto del palazzo di Sloane Avenue, all’epoca dei fatti capo ufficio amministrativo della prima sezione della Segreteria di Stato. Licenziato e cacciato via dal servizio diplomatico della Santa Sede, il prelato, però, non è tornato nella sua diocesi di Como e ha deciso di collaborare coi magistrati vaticani puntando il dito contro il cardinale Angelo Becciu, ex prefetto della Congregazione delle cause dei santi, ma al tempo degli avvenimenti contestati sostituto della Segreteria di Stato, ovvero diretto superiore di Perlasca.
Immediata la replica del porporato che, attraverso il suo legale, ha fatto sapere che “esprime estremo stupore e dolore, denunciandone la plateale falsità. Pur compatendolo, umanamente e cristianamente, per il difficile momento personale che sta attraversando a causa dell’indagine che lo vede coinvolto ed in relazione alla quale con tali presunte dichiarazioni si starebbe difendendo, Sua Eminenza respinge decisamente ogni tipo di allusione su fantomatici rapporti privilegiati con la stampa, che si vorrebbero utilizzati a fini diffamatori nei confronti di alti prelati. Trattandosi di fatti scopertamente falsi, – ha aggiunto il legale di Becciu – ho ricevuto espresso mandato di denunciarne la diffamatorietà da qualunque fonte provengano, a tutela del suo onore e della sua reputazione, innanzi alle competenti sedi giurisdizionali”. Il segnale eloquente che ormai la guerra, anche fra gli indagati, ha raggiunto l’apice.
Ma non è tutto. Ai magistrati del Papa, infatti, Perlasca ha parlato anche di un bonifico di 700mila euro su un conto australiano effettuato proprio mentre il cardinale George Pell, ex prefetto della Segreteria per l’economia, veniva processato per pedofilia. Accusa dalla quale l’Alta Corte del suo Paese lo ha assolto all’unanimità. Ad ammettere, però, che qualcosa, nella gestione delle finanze vaticane, non è andata è proprio il successore di Pell, l’attuale prefetto della Segreteria per l’economia, padre Juan Antonio Guerrero Alves. “È possibile – ha spiegato il sacerdote gesuita – che, in alcuni casi, la Santa Sede sia stata, oltre che mal consigliata, anche truffata. Credo che stiamo imparando da errori o imprudenze del passato. Ora si tratta di accelerare, su impulso deciso e insistente del Papa, il processo di conoscenza, trasparenza interna ed esterna, controllo e collaborazione tra i diversi dicasteri. Abbiamo inserito nei nostri team professionisti di altissimo livello. Oggi esiste comunicazione e collaborazione fra i dicasteri di contenuto economico per affrontare queste questioni. La collaborazione è un grande passo in avanti. Segreteria di Stato, Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica e Segreteria per l’economia collaborano di buon grado. Possiamo certamente commettere errori, sbagliare o essere truffati, ma mi sembra più difficile che questo accada quando collaboriamo e agiamo con competenza, trasparenza e fiducia fra noi”.
Il riferimento, nemmeno tanto velato, è alla rete di finanzieri che hanno lucrato sugli investimenti della Segreteria di Stato. Un giro di affari di milioni di euro tra consulenze fittizie, società aperte per far lievitare i costi, soldi portati in Svizzera, truffe, ricatti e corruzioni. Per i pm della Santa Sede, un personaggio chiave è sicuramente Fabrizio Tirabassi, all’epoca dei fatti minutante dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato e poi licenziato durante l’inchiesta. Per l’accusa, è lui che “ha fornito il suo contributo alla realizzazione dell’operazione Gutt Sa che si è conclusa con un esborso di 15 milioni di euro senza alcuna plausibile giustificazione economica”. È lui ad aver seguito in prima persona le manovre della società lussemburghese posseduta da Gianluigi Torzi e i magistrati non gli credono quando sostiene di essere stato raggirato.
Perché Tirabassi, da 30 anni al servizio del Vaticano, è un commercialista competente, oltre a essere “molto attivo nel proporre investimenti con i fondi della Segreteria di Stato ai vari gestori patrimoniali, stabilendo con essi attività anche a titolo personale”. Un funzionario con tanto di conto allo “Ior (saldo pari a 700mila euro) alimentato esclusivamente dagli emolumenti a lui liquidati dalla Santa Sede ma che egli non ha mai movimentato”. Disponibilità patrimoniali che, per i magistrati, “non solo appaiono sproporzionate rispetto alla retribuzione a lui erogata dalla Segreteria di Stato, ma che, alla luce delle investigazioni, rendono plausibile l’ipotesi che Tirabassi abbia commesso il reato di corruzione o concorso in appropriazioni indebite”. A cui si aggiunge quello di peculato, perché “sono evidenti le collusioni con Enrico Crasso, con il quale era certamente d’accordo per utilizzare i fondi per finalità diverse da quelle istituzionali”. Ed è proprio Crasso a introdurre, nel 2012, il finanziere Raffaele Mincione in Vaticano. Secondo i pm, “nonostante la Segreteria di Stato sia stata messa in guardia nell’ultimo anno circa l’attività di Crasso, continua a dargli fiducia e a non togliergli la delega a operare sui propri conti correnti”.
Un giro di finanzieri che, all’ombra del Cupolone, speculava sui soldi della Segreteria di Stato, compresi quelli dell’Obolo di San Pietro destinato alla carità del Papa. Intanto, l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica ha pagato l’ultima tranche di 45 milioni, su 150, per riscattare il palazzo di Sloane Avenue. Ciò mentre, come ha spiegato padre Guerrero Alves, la Segreteria di Stato “ha portato tutti i suoi fondi allo Ior e all’Apsa e parteciperà al processo di centralizzazione degli investimenti, con una gestione più tecnica e professionale”. Precisando che non è esatto parlare di “perdita del portafoglio” da parte della Segreteria di Stato: “La gestione sarà fatta in altro modo, come accade agli altri dicasteri che hanno un portafoglio. In questi mesi ho visto che in Vaticano, come nel resto della Chiesa, c’è un sacro rispetto per la destinazione dei fondi, per la volontà espressa dai donatori. Quando una donazione è stata accettata per uno scopo specifico, questo viene rispettato. Molti dei fondi gestiti dalla Segreteria di Stato sono stati ricevuti per uno scopo specificato, sempre naturalmente legato alla nostra missione. Se i fondi saranno gestiti da un altro ente, dovranno rimanere associati a quello scopo, con gli stessi beneficiari”.
Twitter: @FrancescoGrana