La vicenda dei feti seppelliti al cimitero Flaminio di Roma, con i nomi delle madri sulle croci finisce in procura. A porla all’attenzione dei magistrati è stata l’associazione Differenza Donna, che venerdì mattina ha presentato un esposto dove s’ipotizzano tre reati: “la violazione dei diritti fondamentali delle donne legati alla legge 194/78″, la violazione dell’articolo 167 ter del codice in materia di protezione dei dati personali e l’articolo 326 del codice penale, ovvero rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio da parte di persone incaricate da pubblico servizio.
“Abbiamo chiesto all’autorità giudiziaria – ha spiegato la presidente di Differenza Donna, Elisa Ercoli – di ravvisare quali sono i reati che corrispondono alle gravi violazioni avvenute contro i diritti umani e di libertà delle donne. Scriveremo inoltre al ministro della Salute Roberto Speranza per chiedere un incontro urgente: serve un intervento a livello nazionale che interrompa queste gravi violazioni che avvengono da anni ma scoperte solo in questi giorni”. Nei giorni scorsi, le militanti della onlus hanno visitato il cimitero per verificare il racconto di Marta Loi, la donna che ha scoperto il suo nome su una delle tombe. In quell’occasione, una di loro ha scoperto la presenza del suo nominativo sopra una delle croci apposte nella sezione 93 del cimitero romano. “Alle donne che hanno vissuto questa situazione chiediamo di contattare la nostra associazione e offriremo assistenza legale gratuita”, ha spiegato Ercoli.
L’eventuale inchiesta della Procura di Roma andrebbe ad aggiungersi all’istruttoria del Garante della Privacy, i cui uffici stanno verificando le competenze dell’ospedale San Camillo – dove la prima denunciante ha subito l’aborto terapeutico – della Asl Roma 3 e dell’Ama, il cui regolamento indica l’apposizione del nome delle donne sulle croci. Alle proteste delle associazioni femministe, fanno da contraltare le dichiarazioni all’agenzia Dire di Cristina Patrizi, componente della commissione Pari opportunità presso l’Ordine dei medici di Roma. “Ci sono poche persone e poche coppie che in quelle drammatiche circostanze chiedono, perché ne hanno facoltà, di procedere autonomamente al seppellimento, come da regolamento di polizia mortuaria. In Italia, le salme non si buttano al secchio, neanche quelle che non si sa di chi siano. In una società civile le salme si seppelliscono secondo i criteri del regolamento di polizia mortuaria”.