Con il prossimo bilancio 2021-2027 aumenterà al 25% la quota di spesa destinata a obiettivi climatici. Ma lì dentro vengono "contati", per esempio, anche le sovvenzioni destinate a cogenerazione ad alto rendimento, teleriscaldamento e teleraffreddamento, che secondo Climate Action Europe "estendono la durata di vita degli impianti alimentati a combustibili fossili”, e i finanziamenti alle ‘infrastrutture per combustibili alternativi’ tra cui anche gas naturale liquefatto
Europa incoerente. Perché si pone ambiziosi obiettivi climatici per il 2021-2027 che, però, non potrà raggiungere se continua a gestire male i fondi pubblici ed erogare sussidi alle fonti fossili, tra impianti, settore automobilistico e trasporti. È questo, in sintesi, il messaggio contenuto in un documento della Corte dei Conti europea sulla spesa per il clima dell’Ue, che mette insieme i dati contenuti in atti ufficiali e le analisi di ong e ricercatori. Un altro richiamo alla Commissione europea, che si aggiunge alla relazione in cui la stessa Corte dei Conti ha sottolineato come la decarbonizzazione nel settore dell’energia in Europa si sia notevolmente ridotta e, ancora, come l’assegnazione gratuita di quote di emissione nel sistema di scambio europeo (Ets) debba essere più mirata. “La Corte dei Conti europea bacchetta la Commissione e mette in guardia sul rischio di greenwashing”, ha commentato Sabrina Pignedoli, europarlamentare del Movimento 5 Stelle, che ricorda gli obiettivi del prossimo bilancio dell’Unione europea.
GLI OBIETTIVI EUROPEI – E lo ricorda la stessa analisi della Corte dei Conti. Se nel 2011 la Commissione ha enunciato l’obiettivo di spendere per l’azione per il clima almeno il 20% del bilancio dell’Ue per il periodo 2014-2020, nel 2018 ha definito un valore più ambizioso per il bilancio proposto per il 2021-2027. La spesa che contribuisce a conseguire gli obiettivi climatici dovrebbe raggiungere il 25% del bilancio. In cifre assolute, questo importo di 320 miliardi di euro a favore dell’azione per il clima per il 2021-2027 costituisce un aumento di 114 miliardi di euro rispetto al 2014-2020. Nella comunicazione sul Green Deal, pubblicata a dicembre 2019, l’obiettivo del 25% è stato confermato. Una strategia volta a mobilitare investimenti sostenibili del valore di almeno mille miliardi di euro durante i prossimi dieci anni, attingendo dal bilancio dell’Ue e da altre fonti di finanziamento pubbliche e private. Nel maggio 2020, la Commissione ha modificato le proprie proposte per il 2021-2027 alla luce della crisi generata dal Covid-19.
LE INCOERENZE RILEVATE – Nel settore della politica di coesione, per il 2021-2027 la Commissione ha fissato il contributo-obiettivo agli obiettivi climatici al 30% per il Fondo europeo di sviluppo regionale (68 miliardi di euro) e al 37% per il Fondo di Coesione (17 miliardi di euro). La proposta di regolamento relativo a Fesr e Fc “esclude espressamente dal suo campo di applicazione gli investimenti legati alla produzione, alla trasformazione, alla distribuzione, allo stoccaggio o alla combustione di combustibili fossili, ad eccezione degli investimenti legati ai veicoli puliti”, scrive la Corte dei Conti. In una pubblicazione del Climate Action Network Europe vengono, però, “rilevate incoerenze tra alcune percentuali applicate per monitorare l’azione per il clima e gli obiettivi climatici per il 2021-2027”. Una questione tecnica, legata ai coefficienti climatici Ue, ossia ponderazioni assegnate ai fondi Ue destinati a progetti, misure o azioni. I coefficienti sono ricavati dalla metodologia dell’Ocse.
LA BOCCIATURA DELLA CORTE – I coefficienti climatici Ue hanno ponderazione pari a 0%, 40% e 100%, a seconda del contributo dell’intervento alla mitigazione dei cambiamenti climatici o all’adattamento ai medesimi. “Il coefficiente del 100% per sovvenzioni destinate a cogenerazione ad alto rendimento, teleriscaldamento e teleraffreddamento – scrive la Corte riportando le critiche di Climate Action Network Europe – nella pratica spiana la strada ad un’estensione della durata di vita degli impianti alimentati a combustibili fossili”. E poi c’è il coefficiente del 100% per il finanziamento rivolto alle ‘infrastrutture per combustibili alternativi’, con cui si promuove l’utilizzo di combustibili fossili nel settore dei trasporti perché comprendono anche i punti di rifornimento di gas naturale liquefatto e compresso, idrogeno e gas di petrolio liquefatto. Quindi “rappresenta un ostacolo alla transizione verso una mobilità a zero emissioni”. Stesso discorso per il coefficiente del 100% per finanziare nuove linee ferroviarie, che “si discosta dall’approccio con cui si concentrano gli investimenti sulla transizione verso una mobilità a zero emissioni”. La Commissione non ha condiviso le opinioni formulate nella pubblicazione, affermando che tali investimenti apportano un contributo significativo al conseguimento degli obiettivi climatici. “Per i magistrati contabili c’è una notevole discrasia fra parole e azioni”, commenta l’europarlamentare Pignedoli, secondo cui “dietro questi impegni si nascondono sussidi alle fonti fossili sia negli impianti di teleriscaldamento che nel settore dei trasporti, privati e pubblici”. E aggiunge: “L’Europa non può rendersi protagonista di cattiva gestione dei fondi pubblici. Così non solo falliremo l’obiettivo di centrare gli obiettivi climatici, ma creeremo un problema enorme per il nostro pianeta e le generazioni future”.
COSA (NON) È ACCADUTO FINORA – Emblematica, rispetto a quanto avvenuto finora, una ricerca pubblicata circa un anno fa e commissionata da Greenpeace EU, Corporate Europe Observatory, Food & Water Europe, Friends of the Earth Europe. Lo studio ha rivelato che dal 2010 le cinque più grandi compagnie del pianeta che operano nel settore di petrolio e gas, ossia BP, Chevron, ExxonMobil, Shell e Total, hanno speso almeno 251 milioni di euro per fare pressione sull’Unione europea e influenzare così le politiche su clima ed energia. Pochi dati: le associazioni che rappresentano queste multinazionali legate ai combustibili fossili si avvalgono a Bruxelles di circa 200 lobbisti e dal 2014 hanno partecipato a 327 riunioni di alto livello con i massimi funzionari della Commissione europea. BP, Chevron, ExxonMobil, Shell e Total hanno ammesso di aver speso 123,3 milioni di euro per fare pressione sull’Ue tra il 2010 e il 2018. Il risultato? È sotto gli occhi di tutti. Dall’Accordo di Parigi, che non menziona i combustibili fossili ma apre le porte a molte soluzioni perlomeno discusse come la cattura e lo stoccaggio del carbonio, fino al fallimento della Cop25 di Madrid.