Politica

‘Negro’, ‘frocio’ e ‘zingaro’: la crociata al politically correct del vicepresidente della Calabria Spirlì è lo sfasciume civile

“Negro”. “Zingaro”. “Ricchione”. “Frocio”. Da Catania Nino Spirlì rivendica il diritto all’uso di parole violente e volgari, e inizia la sua crociata contro il “politicamente corretto”.

“Ci stanno cancellando le parole”, dice alla platea di deputati e militanti leghisti convocati da Matteo Salvini nella città etnea. “Dico ricchione e guai a chi me lo vuole impedire”. Basta, “siamo nelle mani delle lobby, e la più potente è quella gay”. I matrimoni? “Ma voi siete pazzi. Avete mai visto due uomini che si sposano? Un bambino con due padri, o con due madri? Li avete mai visti in natura? Avete mai visto un cucciolo di cane che ha due padri che abbaiano allo stesso modo? Dirò negro, frocio e ricchione fino alla fine dei miei giorni”.

Applausi. Strette di mano. Consenso della platea leghista. Quello che non è servito affatto per portare Spirlì ad essere il numero due della giunta regionale calabrese, vicepresidente e assessore alla cultura. Nominato dalla sua amica strettissima Jole Santelli. Insomma, non stiamo parlando di uno qualunque. Uno che fa discorsi un po’ così al bar del paese e poi agita il rosario. Che Spirlì, cattolico ortodosso e nemico giurato di Papa Francesco, porta sempre con sé. Lo ha esibito anche a Catania, sottolineando che si trattava di un rosario un po’ “frocio”.

Giornalista, autore teatrale, opinionista, scrittore, così si definisce Spirlì, che anni fa, allora talebano berlusconiano, conquistò il cuore di Jole Santelli fondando un circolo di Forza Italia. Lo chiamò “Dudù”, in doveroso omaggio al cane del Cavaliere.

Ma guai a farsi abbagliare dalla eccentricità del personaggio, correremmo il rischio di non vedere il gestore implacabile di una macchina di potere formidabile. Sopra di lui c’è solo Jole Santelli (che non ha voluto commentare le esternazioni del suo vice) e sotto di lui giunta e consiglio. Il personaggio si muove in modo abile nel mondo culturale e politico. Oggi tuona contro la lobby gay e i matrimoni, sollecitando gli istinti della parte più retriva e reazionaria del mondo cattolico, ieri si faceva presentare il suo libro, Diario di una vecchia checca, dal prete no global Vitaliano della Sala.

Utilizza con spregiudicatezza politica la sua dichiarata omosessualità, che sbandiera come un suo, personale, inalienabile diritto individuale. Ma è contro i diritti di tutti. E lo fa, vista la platea di Catania, appellandosi all’anticomunismo. “Qui se non sei comunista non puoi dirti gay”. Quindi paragona gli omosessuali che si sposano ai “cani” mentre invoca madonne e santi baciando il rosario. Mi pare che il modello culturale a cui fa riferimento rimandi forse più a Ernst Rohm, il capo delle camicie brune naziste, omosessuale dichiarato e amico di Hitler, ucciso nel 1934 nella “notte dei lunghi coltelli”, che a Franco Grillini, fondatore di ArciGay.

Più di un secolo fa il meridionalista Giustino Fortunato definì la Calabria uno “sfasciume pendulo sul mare”. Si riferiva alla complessa condizione geografica del territorio; siamo sicuri che se lo studioso fosse vivo oggi, osservando le performance del vicegovernatore Spirlì, parlerebbe di ben altro sfasciume. Quello civile, culturale, umano.

Un’ultima considerazione. Ma il mondo culturale e artistico calabrese non ha nulla da dire? Al momento tutto tace. Non si avvertono neppure flebili sintomi di indignazione da parte di scrittori, teatranti, musicisti, registi. Spirlì è certamente eccentrico e volgare, ma è pur sempre l’assessore alla cultura, quello che ha le chiavi della cassa e decide a chi offrire consulenze dorate e contributi.