Strasburgo chiede che il nostro Paese "crei rapidamente un sistema completo di raccolta dati sugli ordini di protezione e fornisca anche dati statistici sul numero di domande ricevute, dei tempi medi di risposta delle autorità, del numero di ordini effettivamente attuati"
L’alto numero di procedure per violenza domestica archiviate dall’Italia preoccupa il Consiglio d’Europa. Troppo spesso le indagini preliminari su questo tipo di reati si chiudono con un “non luogo a procedere”. È quanto si legge nella decisione del comitato dei ministri di Strasburgo, che ha esaminato – nell’ambito della cosiddetta procedura d’esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti umani – le informazioni fornite dal governo italiano per rimediare alle carenze che hanno condotto alla condanna del Paese nel 2017 nel caso Talpis.
All’epoca i giudici di Strasburgo stabilirono che, nonostante le ripetute denunce della signora Talpis, le autorità non avevano preso le misure necessarie a proteggerla dalla violenza del marito e che questo aveva favorito un aumento dell’aggressività sfociato nel tentato omicidio della donna e nell’omicidio del figlio. Nella decisione resa nota oggi, il comitato dei ministri, pur esprimendo “soddisfazione per gli sforzi continui delle autorità, che dimostrano la volontà di prevenire e combattere la violenza domestica e la discriminazione di genere”, chiedono al governo di attuare una serie di misure e fornire entro marzo informazioni su quanto fatto ma anche dati statistici.
In particolare Strasburgo chiede che l’Italia “crei rapidamente un sistema completo di raccolta dati sugli ordini di protezione e fornisca anche dati statistici sul numero di domande ricevute, dei tempi medi di risposta delle autorità, del numero di ordini effettivamente attuati”. Inoltre il governo dovrà fornire informazioni sulle misure prese, o che intende prendere, per garantire che le autorità competenti attuino una valutazione e gestione adeguata e effettiva dei rischi legati al ripetersi e aggravarsi degli atti di violenza domestica e quindi dei bisogni di protezione delle vittime.
(immagine d’archivio: Manifestazione di Non Una Di Meno per i diritti delle donne dopo il lockdown)