Questa è la storia di un positivo al Coronavirus in una prima elementare di una scuola pubblica di Roma. Quartiere Pigneto, Asl Roma2. Ed è anche un breve elenco di domande a cui, nonostante svariati e ripetuti tentativi, non ho ancora trovato risposta.
Piccolo antefatto: la domenica prima che la scuola iniziasse, discutendo al parco con altri genitori di cosa avremmo dovuto aspettarci dal giorno seguente, mi era capitato di sentire tirare in ballo un po’ di tutto. Perfino la dittatura sanitaria, la caccia agli asintomatici e gli incalcolabili danni psico-fisici della mascherina alzata. Io e il mio compagno ce n’eravamo tornati a casa un po’ perplessi: siamo rimasti così in pochi a essere ciecamente fiduciosi nelle istituzioni (e nella buona sorte) da non capire che quel lunedì, più che quelle della scuola, stavano per aprirsi le porte dell’inferno?
Invece il 14 settembre ci dà ragione. Gli ingressi scaglionati funzionano, il distanziamento è rispettato, le maestre sono così brave da rendere allegro e gioioso anche questo primo giorno di scuola così particolare. N. torna a casa felice, nemmeno si lamenta di aver tenuto la mascherina sei ore di fila. Andrà tutto bene, mi ripeto. Due giorni dopo una mamma posta nella chat la foto del carico di banchi monoposto appena arrivato a scuola. Sarà un trionfo, mi correggo.
La mia fiducia nell’umanità non si incrina nemmeno quando nel quartiere comincia insistente a circolare la voce di un neonato positivo, tra i frequentatori di un asilo nido privato della zona. Primo, perché ho un’altra figlia, ma non frequenta nidi privati. Secondo, perché al Pigneto vivono più di 30 mila persone: vabbè che gira e rigira ci conosciamo tutti, ma mica ci si può allarmare per così poco.
Si scoprirà più tardi che in quel “cluster”, come si usa dire, è coinvolto anche un altro bambino e che sabato 12 settembre ha festeggiato il suo compleanno. Alert: niente critiche a quelli che fanno le feste. Era al parco, aria aperta quanta ne vuoi. Chi era nella lista degli invitati, però, comincia comprensibilmente ad agitarsi. Fanno tutti il tampone, sono tutti negativi e tornano a lezione il giorno dopo aver avuto il risultato. Tutti tranne uno, il bimbo in classe con N. L’ultimo giorno in cui va a scuola è giovedì 17, quando scopre – insieme agli altri invitati – del contatto con il caso positivo. Il giorno stesso fa il tampone, il giorno dopo resta a casa in via precauzionale.
Il risultato arriva lunedì mattina, siamo al 21 settembre. La scuola è seggio elettorale, è chiusa causa referendum. Al mattino, i genitori ci informano che il test è positivo e ci dicono che la scuola ci contatterà. La mail firmata dal dirigente arriva prima di cena, alle 19.30. Parla di una segnalazione “informale” della Asl – aggettivo che, vedremo, ritornerà spesso – e ci avverte del fatto che è “altamente consigliabile” l’isolamento fiduciario fino a nuove istruzioni.
(DOMANDA 1: perché il contatto con un positivo produce protocolli diversi se avviene dentro o fuori la scuola?)
Nel frattempo, figurarsi, la chat di classe è diventata un lungo e interminabile “sta scrivendo”. Tutti hanno avvertito il proprio pediatra e le raccomandazioni si sprecano. Alcuni medici prescrivono il tampone immediatamente perché “va fatto il prima possibile”, altri consigliano di aspettare l’ottavo giorno quando l’eventuale carica virale sarà sufficientemente alta, altri ancora decidono sia meglio aspettare la Asl. Che finora, ovviamente, non si è ancora fatta viva, se non con quella “informale” segnalazione alla scuola. Entrerà in scena la mattina seguente – martedì 22 – quando veniamo convocati per le 14.30 nel cortile della scuola, sempre con un messaggio inviato dalle insegnanti tramite chat.
(DOMANDA 2: è possibile ricevere dalle Asl e dalle scuole informazioni ufficiali, per iscritto, e non indicazioni via WhatsApp?)
Apprendiamo che faranno il tampone a tutta la classe. Nessuno sa dire se devono essere testati anche i conviventi, nel dubbio si presentano i nuclei familiari al completo. Tradotto: a colpi di tre o quattro congiunti, siamo almeno in 50. Gli operatori sanitari si presentano sereni al nostro assembramento alle 15.15, con i bambini che nel frattempo giocano e si rincorrono per ingannare i tre quarti d’ora di attesa. Se erano riusciti a non contagiarsi prima, quelli della Asl ce la stanno mettendo tutta per fare in modo che accada adesso.
La notizia del tampone collettivo nel piazzale di scuola è comunque per molti un sospiro di sollievo. Non proprio per tutti, visto che chi ha fatto il tampone il giorno prima, su indicazione del pediatra, scopre che dovrà comunque rifarlo, perché gli operatori hanno una lista di contatti da testare e non ammettono defezioni, nemmeno se si dimostra che la stessa Asl li ha testati 24 ore prima. Si consolano: almeno stavolta niente fila. Qui si preferisce una nuova tecnica: tutti a ridosso della cancellata di ingresso a scuola, a osservare questo improvvisato ambulatorio, dove non c’è nemmeno una sedia e dove i bambini in coda assistono con entusiasmo alla cannuccia che va su e giù per le narici dei compagni senza lasciare nulla all’immaginazione (soprattutto le urla). Un consiglio per la prossima volta, tanto ci sarà: lasciate perdere l’attestato di “bambino coraggioso” e con la carta risparmiata inventatevi un separè e dei tappi per le orecchie.
Tamponi fatti, si ritorna al beato isolamento e domani niente scuola: ce lo fa dedurre il buon senso, sia chiaro, perché ufficialmente, di restare a casa, non ce lo ha detto nessuno. Ci avevano garantito che i risultati sarebbero arrivati nel giro di poche ore, invece passerà un giorno intero. Pazienza: siamo tutti negativi ed è già una gran cosa, restiamo in attesa di nuove istruzioni.
La chiamata della Asl arriva giovedì 24. Ci informano che siamo in isolamento (ma va?) e che l’alunno/a deve stare in una stanza, senza aver contatti con il resto della famiglia. Chiedono le generalità del genitore che starà in isolamento con lui/lei. Inutile provare a spiegare che tanto siamo insieme da una settimana dal presunto contagio, dividerci adesso non ha alcun senso. Indicazioni su eventuali certificazioni per il genitore che dovrà assentarsi dal lavoro? Non disponibili. Nella stessa telefonata, in compenso, ci danno un appuntamento per il secondo tampone di controllo, con tanto di efficienza garantita: “Lo farete al 12esimo giorno, in modo che possiate avere i risultati in tempo per la fine della quarantena”, ci dice con una sicumera tale che nessuno osa ricordargli che, finora, di tutte le scadenze che avevano fissato, non ne hanno rispettata mezza.
(DOMANDA 3: è necessario il doppio tampone o ne basta uno? Le indicazioni dell’Istituto superiore di sanità, richiamate nel Dpcm del 7 settembre, prevedono solo che il dipartimento di prevenzione della Asl si attivi per approfondire l’indagine epidemiologica, ma non chiarisce come)
L’appuntamento per il secondo tampone è al drive-in. Appuntamento, si fa per dire: ci dicono di presentarci alle 9, quando apre. L’uscita è un apostrofo rosa tra l’incrocio della Collatina e l’ex centro carni di viale Palmiro Togliatti, giusto per ricordarci le scene da mattatoio a cui abbiamo assistito nel cortile di scuola. Due virgola otto chilometri a passo d’uomo. Eppure, secondo la circolare del ministero della Salute del 24 settembre “gli operatori scolastici e gli alunni hanno una priorità nell’esecuzione dei test diagnostici”. Noi ci facciamo 5 ore e quaranta di fila al drive-in, il resto della classe pure.
(DOMANDA 4: come si attua, nella pratica, questa priorità di esecuzione dei test? A chi bisogna rivolgersi per poterne usufruire?)
Il mattino seguente, siamo a mercoledì 28 settembre, ci arriva via mail il referto. Di nuovo negativo, per fortuna. Messaggi di incoraggiamento in chat, “dai che adesso arriva anche a voi”, faccine e punti esclamativi. Ci convinciamo che la famosa priorità di cui sopra fosse da intendersi nell’analisi dei tamponi, anche se in italiano “esecuzione” ha un significato ben preciso. Vorrà dire, ci ripetiamo con rinnovata empatia verso il pubblico, che li refertano prima degli altri. Peccato che a mezza classe i risultati siano arrivati solo tra venerdì 2 e sabato 3 ottobre. E che la quarantena, in teoria, fosse finita il giovedì.
Veniamo al tanto agognato rientro, “informalmente” previsto per venerdì mattina. Alla vigilia, brancoliamo nel buio. Nel referto che ad alcuni di noi è arrivato via mail si accenna a un non meglio precisato “attestato di fine isolamento” da presentare a scuola. Per ogni chiarimento ci invitano a contattare un numero che squilla inesorabilmente a vuoto. Proviamo con il centralino della Asl, tentiamo con le e-mail alla scuola, riusciamo perfino a recuperare il nome della dirigente che dovrebbe avere in capo la nostra situazione. Ma niente. Anche il suo, di interno, fa tu-tu. I pediatri ci avvertono che non certificheranno nulla prima di visitare i bambini: d’altronde, ci spiegano, non sono loro ad averci messo in isolamento ma la Asl, che dovrebbe in teoria dichiarare che la quarantena è finita. Siamo quasi rassegnati a rinviare tutto al lunedì, quando una mamma riesce a chiamare a scuola e ottiene un “informale” via libera a rientrare, referto negativo alla mano.
(DOMANDA 5: chi rilascia l’attestato di fine isolamento? I pediatri? La Asl? Basta l’esito del referto?)
Solo sette fortunati riescono a farcela. Gli altri – compresa una delle maestre – non hanno ancora ricevuto l’esito del test, quindi sono costretti a perdere un altro giorno di scuola. Domani, 5 di ottobre, si spera possano tornare a fare lezione tutti insieme. Sarà il 18esimo giorno dall’ultimo contatto con il positivo. Ah, anche lui e la sua famiglia per fortuna stanno bene. Noi invece siamo un po’ meno ciecamente fiduciosi nelle istituzioni (tanto meno nella buona sorte) ma pronti a ricrederci di fronte a una dimostrazione di buona volontà: qualcuno, a queste cinque domande, sa rispondere?