Cultura

Salvate Banksy dalla Banksy-mania. Vittima del consumismo? Più vuole essere outsider più diventa insider (e non è un bene)

In due decenni Banksy è diventato icona, merce, moda, furto, tour, fenomeno incontrollabile come una reazione a catena. E una mostra a Roma prova a raccontare ancora il fenomeno dissacrando la perfezione rinascimentale del Chiostro del Bramante

di Serena Tacchini

Salvate Banksy. Dalla polvere delle gallerie, dalla noia delle mostre attira-pubblico, dalla gabbia dorata del merchandising. Salvatelo dall’immagine che lui stesso si è costruito o da quella che l’art system è riuscito a corrompere. Più di vent’anni fa comparivano a Bristol i suoi primi graffiti: sconosciuto allora proprio come oggi, il flagellatore delle coscienze contemporanee continua ad aggirarsi senza volto nelle gallerie a cielo aperto delle grandi metropoli. Bianco caucasico, ormai cinquantenne, probabile formazione nella scena underground di Bristol: l’arte gridata di questo supereroe invisibile stende sui muri del mondo la sua iconica costituzione di pace, giustizia e libertà, amaramente utopica certo, ma condivisa in modo virale sui social di tutto il mondo. Funambolo su quella linea sottile tra comunicazione dissidente e marchio registrato, anarchia e capitalismo, scardina la cultura di massa somministrando verità scomode che stravolgono con uno schiaffo le nostre (ben poche) certezze. In due decenni Banksy è diventato icona, merce, moda, furto, tour, fenomeno incontrollabile come una reazione a catena. O matematicamente perfetto nella sua costruzione a tavolino.

In un caotico universo che ha inchiodato il proprio dio sulla croce del consumismo, governato da saffiche regine inglesi e Parlamenti di scimmie, Banksy rivendica la guerra che si vince con i fiori, combattuta da soldati con uno smile giallo sul volto, mentre sotto un cielo di aerei militari infiocchettati in rosa una bambina abbraccia una bomba come un pacco regalo. Nel mondo contagiato dal Covid, il più grande superpotere è la scienza e i bambini giocano con supereroi dalle sembianze di infermieri; i Rats, dopo una quarantena trascorsa a infestare il suo bagno di casa, si riversano nella metropolitana di Londra per sensibilizzare sull’uso delle mascherine, verniciati dal solito ignoto Banksy travestito da addetto alla sanificazione.

La Louise Michel solca il Mediterraneo da fine agosto: sul fianco della nave finanziata dall’artista per il recupero dei migranti in pericolo, l’iconica ragazzina ha lasciato volare via l’innocenza insieme al suo palloncino rosso per indossare il giubbotto di salvataggio. Lancia un salvagente a forma di cuore all’umanità che annaspa sotto il peso della sua stessa indifferenza, all’orrore come alla bellezza, all’arte e all’amore.

Più Banksy vuole essere outsider più diventa insider, in un circolo vizioso in cui i suoi ratti continuano a mordersi la coda: tra il graffito di strada e l’icona seriale c’è in mezzo la morte di un messaggio un tempo urlato, ora icona fossile nella vetrina di una contemporaneità in vendita. Oltre cento opere provenienti da collezioni private dissacrano la perfezione rinascimentale del Chiostro del Bramante e gli affreschi di Raffaello: Banksy a visual protest sarà visitabile a Roma fino all’11 aprile 2021, in linea con l’ondata pandemica di monografiche, colpevoli e complici, che continuano ad alimentare la Banksy mania. Genova, Napoli e Ferrara, in arrivo quella di Palermo, sono le mostre che solo in Italia nel 2020 hanno provato a indagare il fenomeno Banksy in contumacia, senza coinvolgerlo direttamente. Un avvicinamento sicuramente ardito è stato avanzato nel manifesto della mostra romana tra il linguaggio dell’ignoto artista di Bristol e le Sibille affrescate dal genio urbinate: un’opportunità di visione inedita che però fa emergere ancora di più l’incommensurabile cesura tra due identità artistiche abissalmente incompatibili tra loro, affiancate con gran stridore di unghie su un vetro, che in comune non hanno nemmeno un pennello, dato che lo street artist per motivi di tempo (e forse di abilità) opta per gli stencil.

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Banksy, “Jack & Jill” . Diversamente da molte altre composizioni quest’immagine non è mai stata rappresentata su un muro. L’opera combina la tecnica dello stencil, caratteristica dell’arte di Banksy, con il tema dell’infanzia e un senso prevalente di umorismo ironico a sfondo sociale. A prima vista, l’immagine appare innocente, fino quando non si notano i giubbotti antiproiettile indossati dai protagonisti. Con questo dettaglio, Banksy contrappone l’umorismo oscuro della composizione alla presunta libertà e innocenza dell’infanzia. Con specifico riferimento all’omonima filastrocca inglese del XVIII secolo, in cui Jack e Jill caddero giù per la collina, il ritratto di Banksy potrebbe suggerire che i bambini sono soffocati dalle norme di sicurezza oppure hanno tragicamente bisogno di maggiore protezione. . . . “Jack & Jill”, 2005, serigrafia su carta, screenprint on paper, Collezione privata, Private collection

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La vera bellezza di Banksy sta nell’irruzione spudorata e nella forza di una disobbedienza ormai necessaria; sta nel coraggio di chi resta e continua ad avere fede in ideali nei quali nessuno crede più. La sua bellezza sta nell’irriverenza, la stessa che all’asta di Sotheby’s lo ha portato a tritare una sua opera che aveva sfiorato il milione di dollari. Vogliamo il Banksy delle strade, l’artista che non è in vendita perché appartiene al mondo. Salviamo Banksy, per favore, perché a noi spetta il compito di dare futuro alla sua protesta visiva e non solo un’inutile cornice per appenderla al muro.

INFO MOSTRA

BANKSY A VISUAL PROTEST | Roma, Chiostro del Bramante
8.09.2020 | 11.04.2021
Giorni e orari di apertura | Lun-giov: 10-20, ven-dom 10-21

Ingresso (per fasce orarie): 13, 15, 18 euro
Sito web: www.chiostrodelbramante.it
Info: 06-68809035

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