A vederli, sembrano dei capanni abitati da un qualche stregone vudù, con la loro struttura in canne e legno, i tetti a punta e gli interni in penombra. I casoni sono invece abitazioni lagunari venete, usate in passato come rifugio stagionale dai pescatori locali e che oggi sono perlopiù utilizzate come rimesse per la loro attività.

Siamo a Caorle, a un pugno di chilometri da Venezia, in navigazione su una barchetta lungo i bassi, paludosi corsi d’acqua della Valle Grande che tanto appassionarono Ernest Hemingway: lo scrittore americano arrivò a queste latitudini per la prima volta nell’inverno del 1948, ospite del Barone Raimondo Nanuk Franchetti, al quale era legato dalla passione per la caccia alle anatre e da una profonda amicizia. Fu questo paesaggio di zanzare, giunchi e pescatori solitari seduti su sedioline di pezza che ispirò parte del suo Di là dal fiume e tra gli alberi, libro pubblicato nel 1950 in cui si racconta, tra l’altro, dell’amore del protagonista per Renata, una nobile ventenne veneziana.

La laguna, per chi non ci è nato o vissuto, richiede sforzi notevoli di immaginazione e adattamento. Questo paesaggio di conche, vecchie idrovore imbalsamate in case-museo, terrapieni insidiosi e strade sterrate ha un fascino singolare, arduo da classificare: non si tratta né di mare né di montagna, ma di piatte distese di acqua e terra esplorabili a bordo di piccole imbarcazioni oppure di bici.

Io, ad esempio, mi sono affidato a una bicicletta elettrica per scorrazzare nel borgo rurale di Cà Corniani: 1.770 ettari bonificati da privati, le Assicurazioni Generali, che dalla metà dell’800 hanno trasformato un enorme spazio paludoso in un luogo che oggi accoglie campi coltivati, piste ciclopedonali, punti panoramici e una cantina vinicola.

Vallevecchia
, in località Brussa – un altro importante progetto locale di riconversione agricola sostenibile – è dietro l’angolo, ma solo in linea d’aria: nel mezzo c’è la laguna di Caorle, che qui chiamano il “Canalon”: così, per giungere a destinazione, bisogna circumnavigare (in auto) un dedalo di corsi d’acqua per ritrovarsi su una vera e propria isola: un territorio di 900 ettari riconosciuto Oasi Naturalistica, nonché sede di un’azienda agricola che, grazie ai fondi europei, sta sviluppando progetti sperimentali di ricerca agraria, forestale e ambientale.

Dove c’erano depressioni palustri ora si estendono a perdita d’occhio piantagioni di mais, soia e colza; e poi sentieri da percorrere in bici o a cavallo, una grande pineta litoranea dimora di una ricca fauna stanziale e infine scorci per gli amanti delle spiagge non attrezzate e sabbiose (pare che quello di Vallevecchia sia l’ultimo lembo di costa dell’Alto Adriatico non urbanizzato, prescelto da naturisti e turisti easy-going).

Nonostante io abbia visitato questi luoghi in una bollente giornata settembrina, la loro connaturata melanconia li rende perfetti per una passeggiata autunnale o invernale. Citando Hemingway: “Quattro barche risalivano il canale principale verso la grande laguna a nord… Era tutto ghiacciato, gelato di fresco durante il freddo improvviso della notte senza vento”.

Non sappiamo di quali barche stesse parlando lo scrittore; probabile che fossero i bragozzi, imbarcazioni da pesca e da carico dell’Alto Adriatico a due alberi con vele a trapezio. Ancora oggi nel Porto Peschereccio di Caorle capita di vederne alcuni, ormeggiati come stanchi giganti affiancati da più attivi motopescherecci che ogni mattina escono in mare prima dell’alba, prima di rientrare nel pomeriggio con il pescato.

Le casse di mazzancolle, moscardini, orate e code di rospo vengono portate al vicino Mercato Ittico, dove si consuma lo storico rito dell’asta “ad orecchio”: i prezzi proposti dagli acquirenti non vengono comunicati, né tantomeno urlati, ma sussurrati all’orecchio dell’astatore che vende e assegna la cassetta al miglior offerente. Più che a un mercato, sembra di essere in un confessionale dove le parole sono misurate e la gesticolazione contenuta. Forse è meglio così.

Poco distante, con la prua rivolta alla torre Campanaria del Duomo, c’è una caorlina – la sorella minore e meno famosa della gondola – con sopra la statua di un angelo che fissa i passanti. Su quella stessa barca avrebbe dovuto esserci anche la statua della Madonna dell’Angelo che ogni cinque anni, la seconda domenica di settembre, viene scomodata dal suo posto d’onore nel Santuario omonimo e condotta per mare, scortata da barche e barconi addobbati a festa. Visti i tempi che corrono, la cerimonia è stata spostata all’anno prossimo, perdendo così la sua storica cadenza lustrale. Anche i santi, causa Covid, perdono le proprie sane abitudini.

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