Negligenza professionale e abusi perpetrati da 20 tra le maggiori banche del mondo sono costati oltre 410 miliardi di euro in dieci anni. È quanto emerge dal progetto CBR Conduct Costs, promosso dal Centre for Banking Research della Business School (già Cass Business School) di Londra e cofinanziato dall’Emea (Euro-Mediterranean Economists Association), con l’obiettivo di favorire la trasparenza in ambito finanziario. Le banche messe sotto osservazione sono Bank of America, Barclays, BNP Paribas, Commerzbank, Citigroup, Credit Suisse, Deutsche Bank, Goldman Sachs, HSBC, Ing, JP Morgan & Chase, Lloyds, Morgan Stanley, National Australia Bank, The Royal Bank of Scotland, Santander, Société Générale, Standard Chartered, UBS e Wells Fargo. Complessivamente, tra gennaio 2008 e dicembre 2018 hanno pagato per la propria condotta costi pari a oltre 377 miliardi di sterline, ovvero 410 miliardi di euro. Questa somma include sanzioni, sentenze e transazioni a sfavore delle banche, restituzione di profitti e costi di riacquisto di titoli e azioni legati a comportamenti scorretti, ma anche investimenti per conformarsi alle normative. Quasi il 60% dei 410 miliardi di euro è stato impiegato per risarcimenti.

Al 2014, il 93,4% dei costi per la propria condotta era sostenuto dalle cosiddette G-SIB (Global Systemically Important Banks), cioè le banche di rilevanza sistemica, quelle troppo grandi per fallire. Al 2018 le banche G-SIB raccoglievano ancora l’89,1% del totale dei costi, dimostrando l’importanza di monitorare questi soggetti e la correttezza delle loro pratiche, per salvaguardare la stabilità dell’economia globale. Nel discorso tenuto al Lord Mayor’s Banquet for Bankers and Merchants of the City of London nel 2015, Mark Carney, allora governatore della Bank of England, osservò che “150 miliardi di dollari di multe imposte alle banche globali si traducono in più di 3 trilioni di dollari di minore capacità di prestito all’economia reale”.

All’indomani della crisi finanziaria globale del 2008, le banche statunitensi raccoglievano la stragrande maggioranza dei costi di condotta (87,2% nel 2010). Dal 2012, invece, sono aumentati progressivamente i costi sostenuti dalle banche del Regno Unito e dell’Eurozona, riducendo il peso delle banche statunitensi a solo il 20,5% nel 2018. “Non è ancora chiaro se questo cambiamento è guidato da un migliore comportamento delle istituzioni statunitensi o riflette il maggiore controllo da parte delle entità di regolamentazione europee”, scrivono i ricercatori. Nei dieci anni considerati il totale cumulativo dei costi di condotta per le banche statunitensi del campione ammonta a 205,25 miliardi di sterline, più 86,09 miliardi di sterline per le banche del Regno Unito, 41,31 miliardi di sterline per le banche dell’area Euro, 40,19 miliardi di sterline per le banche svizzere e 4,62 miliardi di sterline per la banca australiana.

Per le banche del Regno Unito la maggior parte dei costi di condotta è correlata a misselling, cioè vendite fraudolente, riciclaggio di denaro e controlli interni viziati. Per le banche dell’Eurozona, i costi di condotta sono principalmente dovuti a questioni relative ai mutui, abusi e manipolazioni di mercato, tassi interbancari, questioni collegate al riciclaggio e violazione delle sanzioni economiche. Nelle banche statunitensi, i costi di condotta sono legati principalmente agli sviluppi nel mercato dei mutui a seguito della crisi dei subprime, abusi di mercato e problemi collegati alla manipolazione dei mercati dei cambi, mancate comunicazioni alle autorità e controlli interni viziati.

Per il periodo 2014-2018, secondo quanto calcolato dai ricercatori, le banche con i maggiori costi di condotta sono state The Royal Bank of Scotland (26,56 miliardi di sterline), Bank of America (26,54 miliardi), Lloyds (18,79 miliardi), Deutsche Bank (17,63 miliardi) e Barclays (15,94 miliardi). Queste cifre comprendono sia le passività “cristallizzate”, quindi effettive, sia gli accantonamenti operati dagli istituti per far fronte a eventuali costi di condotta. Gli accantonamenti sono stati raccolti dai bilanci, comprendendo solo quelli relativi a possibili costi di condotta. Tali accantonamenti, che valgono oltre il 13% del totale, possono essere stati influenzati da nuove politiche e regole o riflettere i risultati delle indagini su potenziali pratiche scorrette.

Il rapporto, comunque, riconosce i limiti dell’analisi, dal momento che non tutte le autorità sono obbligate a rendere pubbliche le sanzioni comminate alle banche. Così come in molti casi è stata la pressione dei media e dell’opinione pubblica a far emergere condotte scorrette, che invece in altri casi potrebbero essere rimaste nascoste. In altre parole, quindi, l’ammontare complessivo dei costi di condotta del mondo bancario potrebbe essere maggiore di quanto calcolato dal Center for Banking Research. Inoltre, non va sottovalutato l’impatto dell’immunità che le autorità possono concedere alle banche, quando decidono di collaborare, evitando le sanzioni. Nel 2013 Barclays ha ricevuto l’immunità per aver rivelato l’esistenza di cartello sui derivati su tassi di interesse dell’euro, risparmiandosi una multa di 690 milioni di euro, e permettendo invece alla Commissione Europea di condannare altri 8 istituti finanziari internazionali a pagare una somma totale di quasi 1,5 miliardi di euro. Nel 2016 Deutsche Bank ha ottenuto la piena immunità per aver rivelato l’esistenza di un cartello sull’Euribor alla Commissione della concorrenza, l’autorità svizzera antitrust. Nel 2019 è stata invece Ubs a ricevere la piena immunità, denunciando alla Commissione europea l’esistenza di due cartelli sui cambi valutari, ed evitando il pagamento di una multa da 285 milioni di euro. Sanzioni per un totale di 1,07 miliardi di euro sono state invece comminate a Barclays, Rbs, Citigroup, JP Morgan e Mufg.

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