Il campionato è finito. È come se fosse tale. Juve-Napoli è il precedente che fa crollare la speranza di poter giocare a pallone durante il coronavirus. Forse era solo un’illusione, però era costruita su un protocollo preciso, messo a punto dalla Figc, voluto dai club, validato dal Comitato tecnico-scientifico, approvato dal governo: per i calciatori non vale la quarantena come per tutti gli altri cittadini, possono giocare finché negativi. Una deroga, magari discutibile dal punto di vista sanitario, forse persino etico. Però era il compromesso per portare a termine la stagione. È evidente che dal punto di vista sanitario giocare quella partita, con un focolaio a Genova e altri positivi in giro per la Serie A, era sconsigliabile. Ma se passa il principio per cui una Asl può superare il protocollo e bloccare una squadra per due settimane qualora lo ritenga opportuno, il campionato diventa impossibile, perché non ci sono date per recuperare le partite.

Questo succede solo in Serie A, unico torneo internazionale dove una squadra non si presenta, l’altra annuncia comunque la sua formazione, la Lega non rinvia, la Figc tace, il governo dice tutto e il contrario di tutto e la partita rischia di concludersi con lo 0-3 deciso dal giudice sportivo, con inevitabili ricorsi in tribunale. Una storia “molto italiana” e non certo in senso positivo, tutt’altro. In cui tutti hanno le loro colpe. Proviamo a spiegare quali.

NAPOLI Il Napoli non si è presentato a Torino, ma formalmente non è stata una sua scelta: è stata la Asl 2 Nord a impedirglielo. Prima mettendo in quarantena il gruppo squadra, poi esplicitando il divieto di partenza: interrogata a riguardo dalla società, l’Azienda sanitaria ha specificato che i giocatori non avrebbero potuto muoversi in sicurezza e quindi erano tenuti a rispettare l’isolamento. Tradotto: niente match con la Juve. Documenti alla mano, è difficile dar torto alla società di De Laurentiis. Ed è la ragione per cui un ricorso in tribunale degli azzurri (scontato in caso di sconfitta a tavolino) avrebbe buone chance di successo. Anche perché il regolamento approvato dalla Lega impone di giocare “fatti salvi eventuali provvedimenti delle autorità statali o locali”. Come appunto la Asl. Questo in punta di diritto. La realtà è un po’ diversa. È quella di una squadra che da venerdì ha cercato appigli per rinviare la partita (le ragioni, un mistero), due giorni dopo aver votato all’unanimità con le altre la regola che prevede di giocare sempre. Ha trovato sponda nell’Asl. Che ha bloccato tutto, può farlo (è l’autorità competente), però ha anche ignorato una circolare ministeriale che indicava il contrario (cioè lasciar partire e giocare i calciatori). Siamo all’anarchia, al solito cortocircuito Stato-Regioni. E le Regioni sono le stesse che volevano anche riaprire gli stadi a migliaia di persone. Sempre dalla parte dei presidenti.

JUVENTUS – “La Juventus si attiene ai regolamenti”, ha detto Andrea Agnelli. È vero, i bianconeri hanno fatto solo ciò che era previsto dal protocollo: presentarsi in campo. Il presidente bianconero dice che lo avrebbe fatto anche al posto del Napoli: probabile. Qualche mese fa a parti inverse fu proprio la Juve a chiedere e ottenere il rinvio del big match contro l’Inter. Corsi e ricorsi. Stavolta i bianconeri non c’entrano nulla. Certo, magari avrebbero potuto risparmiarsi i comunicati e l’annuncio trionfale di una formazione che non sarebbe mai scesa in campo. Il solito “stile Juve”.

LEGA E FIGC – Il disastro del big match non disputato ricade sulle loro spalle, ma che altro avrebbero potuto fare? Disporre il rinvio sarebbe equivalso a rinnegare il protocollo e ammettere che la Serie A è finita. Il calendario non permette di fermarsi: basti dire che la prima finestra utile per riprogrammare Juve-Napoli sarebbe stata dopo febbraio. Per questo era stato fatto il protocollo che permette di interrompere l’isolamento per giocare. Come hanno fatto ad esempio il Torino contro l’Atalanta, il Milan contro il Crotone, il Genoa contro il Napoli. Il Napoli contro la Juve no. L’unica vera differenza rispetto ai precedenti è che gli azzurri domenica hanno incrociato il Genoa, vero e proprio focolaio da 22 infetti; l’allarme è maggiore e l’Asl ha deciso di intervenire (ma da allora i giocatori sono stati sottoposti pur sempre a tre tamponi). La Lega per salvare la stagione non aveva alternative che difendere il protocollo, schierandosi dunque con la Juve e contro il Napoli. Rischia però di essere una battaglia persa.

GOVERNO – Le responsabilità iniziano sempre dall’alto. Il governo non organizza campionati, si occupa di cose più importanti. Ieri il ministro Speranza ha invitato a pensare di più alle scuole e meno al calcio (sacrosanto). Il ministro Spadafora, rimettendo la decisione agli organi sportivi com’è giusto che sia, richiama “a far prevalere l’interesse superiore della salute”. Nessuno ha difeso il protocollo che però lo stesso governo aveva approvato e che ieri è stato disatteso. Nemmeno il Cts che si è sentito in dovere di fare una nota per lavarsene le mani. La situazione è delicata, i contagi sono in aumento e il pallone non è la priorità: si può sempre cambiare idea e ristabilire che i calciatori devono sottoporsi a quarantena, come tutti. Basta dirlo. A quel punto però bisognerebbe aggiungere che allo stato attuale non ci sono le condizioni per far disputare la Serie A.

Twitter: @lVendemiale

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