La prima compagnia petrolifera occidentale, la statunitense Exxon Mobil, ha in programma di aumentare le sue emissioni annue di Co2 di 21 milioni di tonnellate, vale a dire più o meno la quantità che ogni anno viene prodotto da un paese come la Grecia. A rivelarlo è l’analisi di documenti interni alla società, portata alla luce dall’agenzia Bloomberg. La realtà è ancora peggiore di come sembra. I calcoli di Exxon riguardano solo le operazioni dirette di estrazione che, solitamente, incidono per circa un quinto delle emissioni complessive. In sostanza si parla di 100 milioni di tonnellate in più. E l‘incremento sarebbe ancora maggiore se non fosse compensato in parte da alcune progetti avviati dalla compagnia che dovrebbero ridurre le emissioni.
Parola d’ordine: raddoppiare i guadagni entro 5 anni– Con buona pace degli impegni internazionali per la lotta ai cambiamenti climatici la compagnia, lontana discendente della Standard Oil dei Rockefeller, guarda dichiaratamente ai profitti e non al pianeta. Il piano punta infatti a raddoppiare gli utili da qui al 2025 e per farlo prevede investimenti da 210 miliardi di dollari, un innalzamento della produzione di greggio di 1 milione di barili al giorno (rispetto agli attuali 4 milioni) e di aumentare le sue emissioni del 17%. O almeno così avrebbe dovuto essere, visto che il documento strategico è stato redatto prima dello scoppio della pandemia che, tra i tanti suoi effetti, ha avuto anche quello di far precipitare le quotazioni del petrolio. Difficile che il contesto ancora più sfidante induca la società a rivedere le sue scelte ambientali. Tre i grandi progetti su cui punta il colosso americano: lo sviluppo dello shale oil in Texas (modalità estrattiva particolarmente inquinante), produzione dalle piattaforme in mare nelle acque di Brasile e Guyana, estrazione di gas naturale in Mozambico e Papua Nuova Guinea.
Impossibile sapere quanto inquinano davvero le compagnie – I propositi di Exxon Mobil cozzano con quello che sembra essere un impegno piuttosto condiviso, almeno a parole, tra i big del settore. British Petroleum e l’anglo olandese Royal Dutch Shell hanno affermato di aver adottato strategie per ridurre il livello delle loro emissioni. Ad Exxon Mobil va riconosciuta una certa dose di coerenza. Al di là di dichiarazioni di facciata, la compagnia non si è mai concretamente espressa a favore di azioni contro l’emergenza ambientale e non ha mai diffuso un dato preciso sulle emissioni di Co2 riconducibile alle sue attività. Alcune stime quantificavano in 140 milioni di tonnellate le emissioni dirette e in quasi 580 milioni di tonnellate se si includono attività collaterali come il trasporto del greggip. Non solo, lo scorso marzo era venuta alla luce la notizia di una vigorosa azione di lobby portata avanti dalla compagnia per cercare di rendere meno rigorosi i limiti del Green Deal europeo, in particolare spingendo perché venissero ridimensionati gli incentivi per lo sviluppo della mobilità elettrica.
BlackRock, verde fuori, nera dentro – I principali azionisti di Exxon Mobil sono Vanguard (7,8%), State Street Global Advisors (5,2%) e Blackrock (4,9%). Di quest’ultimo socio si è saputo che, lo scorso anno, ha votato a favore di risoluzioni pro ambiente nelle numerose società di cui è azionista appena nel 6% dei casi. Comportamento che stride con la “svolta verde” ripetutamente annunciata e pubblicizzata dal numero uno Larry Flink. Exxon Mobil ha chiuso il 2019 con 14 miliardi di dollari di utili su un giro d’affari che vale circa 250 miliardi di dollari l’anno. Sebbene numerosi stati abbiano adottato piani per favorire la transizione verso le energie rinnovabili, attualmente l’85% dell’energia prodotta nel mondo si ottiene da combustibili fossili.