La commissione Affari costituzionali della Camera ha approvato il testo base della norma, che è il risultato della somma di due proposte: quella dell'esponente Pd Fiano e quella della 5 stelle Macina. Relatore il presidente della commissione Brescia. Italia viva non vota e dice: "Non possiamo condividere l'impostazione del testo approvato, va modificato radicalmente". Dalle norme sull'incompatibilità dei membri del governo a quelle sui patrimoni fino alla non eleggibilità dei direttori di quotidiani nazionali e alla stretta sui magistrati in politica: ecco cosa contiene la riforma. Previste anche sanzioni pecuniarie
Primo passo per una nuova legge sul conflitto d’interessi ma sulla strada della maggioranza spunta subito un ostacolo, sempre lo stesso: Italia viva. La commissione Affari costituzionali della Camera ha approvato il testo base della norma, che è il risultato della somma di due proposte: quella dell’esponente Pd Emanuele Fiano e quella della 5 stelle Anna Macina. La riforma, dunque, è la sintesi delle bozze di legge delle principali forze che sostengono l’esecutivo di Giuseppe Conte: in commissione è stata votata dal Pd, dal M5s, da Leu e dai deputati del gruppo misto. Contraria l’opposizione, con il capogruppo della Lega Igor Iezzi che definisce la proposta di legge “allucinante“. Simile, ma meno colorita, la posizione di Italia viva: i renziani, come spesso capita, votano in maniera difforme dalla maggioranza e questa volta si astengono. Il motivo? Lo spiega il capogruppo di Iv, Marco Di Maio: “Quello approvato è un testo che ha una impostazione che non possiamo condividere, partendo dal presupposto che chi si candida a ricoprire una carica pubblica provenendo da una libera professione o comunque da un lavoro autonomo, lo faccia per tutelare qualche specifico interesse”. Il renziano spiega subito che il suo partito, per sostenere la legge in aula, si aspetta modifiche corpose: “Confidiamo che questo non sia il reale intento della maggioranza e se il provvedimento proseguirà il suo iter, ci impegneremo per modificarlo radicalmente perseguendo i veri conflitti di interessi che un testo così impostato nemmeno lambisce”.
L’astensione dei renziani, l’obiettivo del M5s: “Norma in vigore da luglio 2021” – Il 5 stelle Giuseppe Brescia, presidente della commissione e relatore della norma da parte sua si dice pronto “a discutere su come migliorare il testo, ma serve un impegno chiaro per far entrare in vigore questa legge dal 1 luglio 2021. Lavorare per una politica libera da influenze e condizionamenti privati deve essere un obiettivo comune”. Poi risponde ai renziani e spiega che con la nuova legge”chi vuole fare politica nell’esclusivo interesse dei cittadini non ha nulla da temere da questo testo che non penalizza certamente gli imprenditori onesti. Vogliamo introdurre meccanismi e criteri rigorosi per le incompatibilità dei membri di governo, rafforzando il potere dell’Antitrust rispetto al sistema attuale, palesemente inefficace. Nel mio lavoro di sintesi sono partito dalle proposte a prima firma Macina (M5s) e a prima firma Fiano (Pd), quest’ultima sottoscritta anche dal collega Di Maio di Italia Viva”. Insomma, la legge approvata non è troppo diversa da quella firmata a suo tempo dall’attuale capogruppo dei renziani. Che però oggi hanno preferito non votarla, sostenendo che “si tratta di un un testo diverso, con un impianto chiaramente lontano dalle libertà e dai diritti stabiliti dalla Costituzione“. A cosa si riferisce Italia viva? Al momento non è dato sapere ma sullo sfondo spuntano gli immancabili aut aut che puntano ad annacquare la riforma in vista dell’approdo in aula.
Le incompatibilità generali per professionisti e dipendenti – Ma cosa prevede la nuova legge contro il conflitti d’interesse? Cosa c’è di così estremo da essere considerata irricevibile per Iv? La norma, composta da 22 articoli, spiega che sussiste il “conflitto di interessi in tutti i casi in cui il titolare di una delle cariche indicate all’articolo 2 (membri del parlamento, del governo, delle giunte e dei consigli regionali e provinciali e i presidenti delle Autorità ndr) sia portatore di un interesse privato idoneo a compromettere l’imparzialità necessaria all’adempimento degli specifici compiti a cui il titolare della carica è preposto o ad alterare le regole di mercato relative alla libera concorrenza”. Quindi all’articolo 5 indica tra i casi di incombatibilità generali per chi ha una carica di governo nazionale che sono “qualsiasi carica, ufficio o funzione, comunque denominata, ovvero l’esercizio di compiti di gestione in enti di diritto pubblico, anche economici, imprese e società pubbliche o private, organismi di diritto pubblico, consorzi, in enti senza fini di lucro sottoposti a vigilanza e a controllo da parte del governo statale ovvero del governo regionale o locale, ad eccezione di quelli ricoperti in ragione della funzione di governo svolta”. Rappresentano conflitto d’interesse anche “l’esercizio di attività professionale o di lavoro autonomo, di qualsiasi natura, anche se gratuita, in forma associata o societaria, di consulenza o arbitrale, svolta in favore di soggetti pubblici o privati”. Incombatibilità che sussiste anche quando “le cariche, le attività, le funzioni sono svolte o ricoperte all’estero”. Quindi chi viene nominato premier, ministro o sottosegretario “entro venti giorni dall’assunzione della carica” deve “rinunciare agli incarichi e alle funzioni”. Gli iscritti ad albi o elenchi professionali sono “sospesi di diritto per tutta la durata della carica” mentre i dipendenti pubblici e privati “sono collocati in aspettativa“.
Legge anti lobby e antitrust – Sul fronte delle incompatibilità patrimoniali vengono indicate “la proprietà, il possesso o la disponibilità, da parte del titolare della carica, del coniuge o dei parenti entro il secondo grado, ovvero di persone stabilmente conviventi, anche per interposta persona o attraverso società fiduciarie, di partecipazioni superiori al 2 per cento del capitale sociale di un’impresa che: svolga la propria attività in regime di autorizzazione o concessione rilasciata dallo Stato, dalle regioni o dagli enti locali; sia titolare di diritti esclusivi o che operi in regime di monopolio; operi nei settori della difesa, del credito, dell’energia, delle comunicazioni, dell’editoria, della raccolta pubblicitaria o delle opere pubbliche o svolga altra attività di interesse nazionale”. Che vuol dire? Che chiunque possegga – anche attraverso i familiari – il 2 percento di una società che lavora con il pubblico, nella pubblicità, nel settore mediatico o energetico, deve “spogliarsi” del suo patrimonio affidandolo a una società fiduciaria che all’interno abbia un rappresentante dello Stato. Dunque con una legge simile Silvio Berlusconi non sarebbe mai stato premier, come oggi qualsiasi incarico di governo sarebbe precluso anche a Urbano Cairo, editore di Rcs e del Corriere della Sera e patron de La7. Ma c’è incompatibilità anche quando si ravvisa “una palese concentrazione di interessi patrimoniali e finanziari del titolare della carica di governo nazionale nel medesimo settore di mercato tale da interferire con l’imparzialità necessaria all’adempimento degli specifici compiti a cui il titolare della carica è preposto o da alterare le regole di mercato relative alla libera concorrenza”. Tradotto: il conflitto d’interesse c’è anche quando un aspirante ministro abbia interessi rilevanti in uno stesso ambito. Non si potrà nominare ministro dell’Energia il patron di un colosso del settore. Va sottolineato che i titolari di cariche di governo non possono, nell’anno successivo alla cessazione dal loro ufficio, “svolgere attività di impresa né assumere incarichi citati negli articoli precedenti”. È una legge anti lobbisti: un ex ministro non potrà presentarsi al dicastero da lui guidato come rappresentante di un gruppo di pressione attivo nello stesso settore.
Norme sui direttori di giornali e quelle sulle toghe in politica – Sul fronte dei conflitti di potere, invece la legge vieta l’elezione alla Camera per chi nei trecento giorni precedenti al voto abbia ricoperto l’incarico di governatore, assessore delle regioni e delle province autonome. Stesso principio vale per i presidenti delle province, i sindaci e gli assessori dei comuni e delle città metropolitane, i capi e i vice capi di gabinetto dei Ministri, i capi, i vice e i responsabili delle direzioni e degli uffici centrali della Polizia di Stato, prefetti e i viceprefetti; gli ufficiali generali e ammiragli delle Forze armate dello Stato. In caso di scioglimento anticipato delle Camere, i 300 giorni sono ridotti a 60. Dentro alla riforma anche due novità: una definisce come non eleggibili alla Camera “i direttori e i vicedirettori di testate giornalistiche nazionali se hanno esercitato l’incarico nei sei mesi antecedenti alla data di accettazione della candidatura”. Il periodo di sei mesi viene ridotto a sessanta giorni nel caso di scioglimento anticipato del Parlamento. I magistrati, invece, non sono eleggibili nella zona in cui hanno lavorato nei due anni precedenti alla candidatura. Poi se si candidano e non vengono eletti non possono esercitare per cinque anni nella zona in cui erano in lista e “non possono ricoprire le funzioni di giudice per le indagini preliminari e dell’udienza preliminare o di pubblico ministero o incarichi direttivi o semidirettivi”. Se vengono eletti, alla scadenza del mandato non possono rientrare “nei ruoli organici della magistratura ordinaria o speciale di appartenenza al magistrato ma sono collocati nei ruoli amministrativi della propria o di altra amministrazione, conservando il proprio trattamento economico”. Insomma una vera e propria stretta alle porte girevoli tra magistratura e politica.
Le sanzioni per chi viola la legge – Chi sarà a controllare su eventuali profili di incompatibilità? L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che potrà svolgere indagini e potrà applicare sanzioni amministrative tra i 10 e i 100mila euro in caso di violazioni nelle dichiarazioni. Altre sanzioni sono previste per le aziende che abbiano avuto un vantaggio “anche non patrimoniale” grazie alla violazione della legge sul conflitto d’interesse da parte del titolare di una carica di governo: si applica una sanzione amministrativa pecuniaria non inferiore al doppio e non superiore al quadruplo del vantaggio effettivamente conseguito. Nel caso si tratti di una impresa che lavora in regime di concessione dello Stato, l’Autorità può disporre la decadenza dell’atto di concessione. All’Anticorruzione, invece, viene affidata la gestione dei casi di incompatibilità patrimoniale. Nei casi dei grossi imprenditori chiamati a far parte dell’esecutivo, infatti, si prevede la possibilità che gli interessati conferiscano “tutte le attività indicate nella decisione dell’Autorità ad un’unica società fiduciaria“. A questo proposito si prevede “la nomina di uno o più esperti, persone fisiche o giuridiche, scelte dal mandante nell’ambito di una lista predisposta” dalla stessa Anac. Per tutte queste manzioni la norma prevede per le due Authority l’assunzione di cinquanta nuovi dipendenti, per una spesa calcolata in 4,8 milioni di euro nel 2023. Dentro alla norma anche la delega al governo per una riforma che rafforzi “il livello di prevenzione e di contrasto dei conflitti di interessi nelle pubbliche amministrazioni”. Leggi da varare entro tre mesi dall’approvazione della legge del Pd e dei 5 stelle sul conflitto d’interesse in politica: sulla carta dovrebbe avvenire nel luglio dell’anno prossimo. Renziani permettendo.