“A noi bastano queste cinque righe… perché, detto molto trasparentemente, sono quelle che poi ci aiutano… perché un favore io a Briatore, se gli faccio dare tutti ‘sti soldi, lo devo fare, insomma”. Chi parla è Andrea Parolini, commercialista e consulente fiscale di Flavio Briatore. È il 23 marzo 2017 e negli uffici dell’Agenzia delle Entrate di Genova sta incontrando Walter Pardini, il direttore, insieme ad altre due funzionarie. Missione: liberare il Force Blue, il maxi yacht dell’imprenditore sequestrato nel 2010 e ancora sottoposto a confisca per reati fiscali. Le “cinque righe” sono una falsa attestazione che l’Agenzia, su richiesta di Briatore, avrebbe dovuto inserire nell’atto di conciliazione con Briatore stesso: una nota sull’incertezza applicativa della norma che lo aveva fatto condannare in primo grado per l’evasione di 3,6 milioni di Iva sul natante. Con questo falso – sostiene la procura di Genova – il manager sperava di essere assolto in appello e rimettere le mani sulla barca dal valore di 20 milioni. L’indagine per corruzione e tentato depistaggio, chiusa a febbraio scorso, ha già portato agli arresti domiciliari per Pardini e Parolini e alla sospensione dall’ufficio per le due funzionarie, Elena Costa e Claudia Sergi. L’avviso di conclusione delle indagini è solitamente il preludio della richiesta di rinvio a giudizio. E infatti, da quello che risulta al fattoquotidiano.it, nelle prossime settimane i pm Patrizia Petruzziello e Walter Cotugno chiederanno il rinvio a giudizio per tutti e cinque gli indagati: il quinto è proprio Briatore, che è accusato di corruzione aggravata (in concorso con Parolini) e rischia fino a dieci anni di carcere.
Il sequestro dello yacht – Per contestualizzare la vicenda bisogna tornare a maggio 2010, quando la guardia di Finanza sequestra il Force Blue al largo di La Spezia. A bordo ci sono Elisabetta Gregoraci, ex moglie di Briatore, con il neonato figlio Nathan Falco e alcuni membri dell’equipaggio. Gli inquirenti sospettano una frode fiscale avvenuta intestando lo yacht a una società con sede alle Cayman – la Autumn Sailing – che il manager amministrava di fatto. In questo modo, figurando come semplice charterista (cioè noleggiatore), evitava di sborsare 3,6 milioni di Iva all’importazione, non dovuta dai natanti che entrano in acque italiane a scopo commerciale. L’accusa regge fino in appello (a febbraio 2018 Briatore è condannato a 18 mesi, con la confisca dello yacht), ma la Cassazione annulla con rinvio per un vizio di forma. Al termine dell’appello bis, il 4 ottobre 2019, l’evasione è ormai prescritta. Ma la confisca è confermata: manca solo un grado di giudizio e se la sentenza sarà confermata il Force Blue diventerà definitivamente patrimonio dello Stato. Eventualità assai temuta dal patron del Billionaire, da sempre affezionato alla sua cattedrale del lusso di 62 metri, a cui, non a caso, ha dato le proprie stesse iniziali. Un simbolo di potere e ricchezza invidiato da vip e personalità di tutto il mondo. Ma, ormai da un decennio, ormeggiato alla marina di Sestri Ponente, a Genova, affidato a un custode giudiziario che ogni tanto lo mette in moto per scaldarlo, come si fa con le automobili in disuso.
La “proposta oscena” – Già dopo la condanna in primo grado Briatore è ansioso di ribaltare il verdetto, unica via per riottenere lo yacht. Il suo legale, Franco Coppi, suggerisce di tentare una conciliazione con l’Agenzia delle Entrate. E Parolini pensa subito a Pardini, di cui ha già avuto modo di notare alcune irrituali avances: in un precedente incontro, racconta ai pm, gli aveva parlato di “un amico, o un parente, che aveva investimenti in Kenya e che avrebbe avuto piacere di incontrare il sig. Briatore”. In realtà è Pardini stesso – definito dal gip, nell’ordinanza di applicazione delle misure cautelari, “persona particolarmente pericolosa e spregiudicata” – il proprietario di un resort sulla costa africana, in quel momento in difficoltà economica. E a chiedere a Briatore, in cambio del proprio interessamento, “di utilizzare le sue più che notorie conoscenze negli ambienti della mondanità al fine di procurare e convogliare clienti”. Per questo lascia a Parolini un “pizzino”, un foglietto di carta con il proprio telefono personale: “Adesso, se vuole fare qualche proposta oscena, la fa direttamente sul cellulare”, dirà poi, intercettato mentre parla con il professionista.
L’ipotesi: tentato depistaggio – Più che a una “proposta oscena”, quello di Briatore e Parolini somiglia a un trucco da azzeccagarbugli. Il manager accetta di versare all’Erario 3 milioni di euro, anche se non ne avrebbe interesse: difficilmente i suoi beni, affidati a vari trust esteri, sarebbero aggredibili. In cambio, però, pretende che nell’atto di conciliazione ci siano quelle “cinque righe” che contraddicono l’interpretazione che lo ha fatto condannare in primo grado: dicendo, cioè, che per l’esenzione dall’Iva non è necessaria l’esclusiva destinazione dello yacht al noleggio, ma basta che quella destinazione sia presente accanto alle altre. Avvalorando, in questo modo, la sua linea difensiva e accrescendo le speranze di assoluzione in appello. Una dichiarazione, scrive il gip, “finalizzata a fuorviare il giudice penale nell’ambito del proprio giudizio”: da qui l’accusa di depistaggio. Ma del tutto incoerente dal punto di vista giuridico: non solo infatti la Cassazione aveva sempre seguito l’interpretazione opposta, ma la stessa Agenzia delle Entrate, nel contestare l’evasione a Briatore, aveva sostenuto che per non versare l’Iva l’uso commerciale dovesse essere esclusivo. “A fronte della sottoscrizione di una conciliazione per circa 3 milioni – scrive il gip – Briatore avrebbe avuto così ottime possibilità di ottenere la restituzione, dello yatch Force Blue che aveva un valore di gran lunga superiore”.
La presunta corruzione e l’arresto – Per accontentare il presunto corruttore, però, l’ufficio pubblico avrebbe finito per contraddire sé stesso e pure la scelta di costituirsi parte civile nel processo penale. Lo sa bene la funzionaria Sergi, che all’incontro del 23 marzo appare imbarazzata: “Le incertezze sull’applicazione della norma, io c’avevo provato, poi mi sembrava un po’ in contrasto con la richiesta dell’imposta…”. Vale a dire: se sosteniamo che ha ragione lui, come facciamo poi a chiedergli 3 milioni di euro di Iva? Ma Pardini non sente ragioni: se Briatore è disposto a “dare tutti ‘sti soldi”, come dice il suo consulente, il “favore” gli va fatto. Tanto più che il manager ha dato l’ok ad aiutare i suoi affari in Kenya. “Parolini riferì a Pardini che Briatore era ben disposto relativamente alla richiesta che Pardini gli aveva rivolto”, dice ai pm Eleonora Mennella, una funzionaria presente all’incontro tra i due avvenuto l’8 marzo, “disse espressamente che parlava a nome di Briatore, e che Briatore dava la sua disponibilità a convogliare personaggi illustri e a dare contatti, numeri di telefono e visibilità nelle occasioni mondane alle attività di Pardini in Kenya”. È così che secondo la procura si forma l’accordo corruttivo, perfezionato nella riunione del 23 con la redazione del testo secondo i desiderata di Parolini (e quindi di Briatore). E non concretizzato solo perché Pardini finisce in manette neanche venti giorni dopo, beccato mentre intasca una tangente da 7.500 euro di fronte a un noto ristorante di Recco: a gennaio è stato condannato in via definitiva a due anni e dieci mesi. Ora lo aspetta un nuovo processo, in cui sarà alla sbarra insieme a Briatore. E a salvare il milionario di Verzuolo, stavolta, la prescrizione potrebbe non bastare.
Twitter: @paolofrosina
Giustizia & Impunità
Flavio Briatore rischia un processo per corruzione: “Favori al direttore dell’Agenzia delle Entrate per riavere lo yacht sequestrato”
La procura di Genova ha chiuso le indagini e si prepara a chiedere il rinvio a giudizio dell'imprenditore e altri quattro indagati: il suo commercialista, Andrea Parolini, il direttore delle Entrate, Walter Pardini, e due funzionarie. Secondo l'accusa il proprietario del Billionairie aveva dato il suo assenso "a convogliare personaggi illustri e a dare visibilità nelle occasioni mondane alle attività di Pardini in Kenya”. In cambio voleva ottenere dall'Agenzia un'interpretazione a lui favorevole nella vicenda dell'evasione dei 3,6 milioni di Iva che nel 2010 aveva portato al sequestro della sua imbarcazione del valore di 20 milioni
“A noi bastano queste cinque righe… perché, detto molto trasparentemente, sono quelle che poi ci aiutano… perché un favore io a Briatore, se gli faccio dare tutti ‘sti soldi, lo devo fare, insomma”. Chi parla è Andrea Parolini, commercialista e consulente fiscale di Flavio Briatore. È il 23 marzo 2017 e negli uffici dell’Agenzia delle Entrate di Genova sta incontrando Walter Pardini, il direttore, insieme ad altre due funzionarie. Missione: liberare il Force Blue, il maxi yacht dell’imprenditore sequestrato nel 2010 e ancora sottoposto a confisca per reati fiscali. Le “cinque righe” sono una falsa attestazione che l’Agenzia, su richiesta di Briatore, avrebbe dovuto inserire nell’atto di conciliazione con Briatore stesso: una nota sull’incertezza applicativa della norma che lo aveva fatto condannare in primo grado per l’evasione di 3,6 milioni di Iva sul natante. Con questo falso – sostiene la procura di Genova – il manager sperava di essere assolto in appello e rimettere le mani sulla barca dal valore di 20 milioni. L’indagine per corruzione e tentato depistaggio, chiusa a febbraio scorso, ha già portato agli arresti domiciliari per Pardini e Parolini e alla sospensione dall’ufficio per le due funzionarie, Elena Costa e Claudia Sergi. L’avviso di conclusione delle indagini è solitamente il preludio della richiesta di rinvio a giudizio. E infatti, da quello che risulta al fattoquotidiano.it, nelle prossime settimane i pm Patrizia Petruzziello e Walter Cotugno chiederanno il rinvio a giudizio per tutti e cinque gli indagati: il quinto è proprio Briatore, che è accusato di corruzione aggravata (in concorso con Parolini) e rischia fino a dieci anni di carcere.
Il sequestro dello yacht – Per contestualizzare la vicenda bisogna tornare a maggio 2010, quando la guardia di Finanza sequestra il Force Blue al largo di La Spezia. A bordo ci sono Elisabetta Gregoraci, ex moglie di Briatore, con il neonato figlio Nathan Falco e alcuni membri dell’equipaggio. Gli inquirenti sospettano una frode fiscale avvenuta intestando lo yacht a una società con sede alle Cayman – la Autumn Sailing – che il manager amministrava di fatto. In questo modo, figurando come semplice charterista (cioè noleggiatore), evitava di sborsare 3,6 milioni di Iva all’importazione, non dovuta dai natanti che entrano in acque italiane a scopo commerciale. L’accusa regge fino in appello (a febbraio 2018 Briatore è condannato a 18 mesi, con la confisca dello yacht), ma la Cassazione annulla con rinvio per un vizio di forma. Al termine dell’appello bis, il 4 ottobre 2019, l’evasione è ormai prescritta. Ma la confisca è confermata: manca solo un grado di giudizio e se la sentenza sarà confermata il Force Blue diventerà definitivamente patrimonio dello Stato. Eventualità assai temuta dal patron del Billionaire, da sempre affezionato alla sua cattedrale del lusso di 62 metri, a cui, non a caso, ha dato le proprie stesse iniziali. Un simbolo di potere e ricchezza invidiato da vip e personalità di tutto il mondo. Ma, ormai da un decennio, ormeggiato alla marina di Sestri Ponente, a Genova, affidato a un custode giudiziario che ogni tanto lo mette in moto per scaldarlo, come si fa con le automobili in disuso.
La “proposta oscena” – Già dopo la condanna in primo grado Briatore è ansioso di ribaltare il verdetto, unica via per riottenere lo yacht. Il suo legale, Franco Coppi, suggerisce di tentare una conciliazione con l’Agenzia delle Entrate. E Parolini pensa subito a Pardini, di cui ha già avuto modo di notare alcune irrituali avances: in un precedente incontro, racconta ai pm, gli aveva parlato di “un amico, o un parente, che aveva investimenti in Kenya e che avrebbe avuto piacere di incontrare il sig. Briatore”. In realtà è Pardini stesso – definito dal gip, nell’ordinanza di applicazione delle misure cautelari, “persona particolarmente pericolosa e spregiudicata” – il proprietario di un resort sulla costa africana, in quel momento in difficoltà economica. E a chiedere a Briatore, in cambio del proprio interessamento, “di utilizzare le sue più che notorie conoscenze negli ambienti della mondanità al fine di procurare e convogliare clienti”. Per questo lascia a Parolini un “pizzino”, un foglietto di carta con il proprio telefono personale: “Adesso, se vuole fare qualche proposta oscena, la fa direttamente sul cellulare”, dirà poi, intercettato mentre parla con il professionista.
L’ipotesi: tentato depistaggio – Più che a una “proposta oscena”, quello di Briatore e Parolini somiglia a un trucco da azzeccagarbugli. Il manager accetta di versare all’Erario 3 milioni di euro, anche se non ne avrebbe interesse: difficilmente i suoi beni, affidati a vari trust esteri, sarebbero aggredibili. In cambio, però, pretende che nell’atto di conciliazione ci siano quelle “cinque righe” che contraddicono l’interpretazione che lo ha fatto condannare in primo grado: dicendo, cioè, che per l’esenzione dall’Iva non è necessaria l’esclusiva destinazione dello yacht al noleggio, ma basta che quella destinazione sia presente accanto alle altre. Avvalorando, in questo modo, la sua linea difensiva e accrescendo le speranze di assoluzione in appello. Una dichiarazione, scrive il gip, “finalizzata a fuorviare il giudice penale nell’ambito del proprio giudizio”: da qui l’accusa di depistaggio. Ma del tutto incoerente dal punto di vista giuridico: non solo infatti la Cassazione aveva sempre seguito l’interpretazione opposta, ma la stessa Agenzia delle Entrate, nel contestare l’evasione a Briatore, aveva sostenuto che per non versare l’Iva l’uso commerciale dovesse essere esclusivo. “A fronte della sottoscrizione di una conciliazione per circa 3 milioni – scrive il gip – Briatore avrebbe avuto così ottime possibilità di ottenere la restituzione, dello yatch Force Blue che aveva un valore di gran lunga superiore”.
La presunta corruzione e l’arresto – Per accontentare il presunto corruttore, però, l’ufficio pubblico avrebbe finito per contraddire sé stesso e pure la scelta di costituirsi parte civile nel processo penale. Lo sa bene la funzionaria Sergi, che all’incontro del 23 marzo appare imbarazzata: “Le incertezze sull’applicazione della norma, io c’avevo provato, poi mi sembrava un po’ in contrasto con la richiesta dell’imposta…”. Vale a dire: se sosteniamo che ha ragione lui, come facciamo poi a chiedergli 3 milioni di euro di Iva? Ma Pardini non sente ragioni: se Briatore è disposto a “dare tutti ‘sti soldi”, come dice il suo consulente, il “favore” gli va fatto. Tanto più che il manager ha dato l’ok ad aiutare i suoi affari in Kenya. “Parolini riferì a Pardini che Briatore era ben disposto relativamente alla richiesta che Pardini gli aveva rivolto”, dice ai pm Eleonora Mennella, una funzionaria presente all’incontro tra i due avvenuto l’8 marzo, “disse espressamente che parlava a nome di Briatore, e che Briatore dava la sua disponibilità a convogliare personaggi illustri e a dare contatti, numeri di telefono e visibilità nelle occasioni mondane alle attività di Pardini in Kenya”. È così che secondo la procura si forma l’accordo corruttivo, perfezionato nella riunione del 23 con la redazione del testo secondo i desiderata di Parolini (e quindi di Briatore). E non concretizzato solo perché Pardini finisce in manette neanche venti giorni dopo, beccato mentre intasca una tangente da 7.500 euro di fronte a un noto ristorante di Recco: a gennaio è stato condannato in via definitiva a due anni e dieci mesi. Ora lo aspetta un nuovo processo, in cui sarà alla sbarra insieme a Briatore. E a salvare il milionario di Verzuolo, stavolta, la prescrizione potrebbe non bastare.
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Fondi Lega, la doppia “cauzione” da 178mila euro offerta dai due commercialisti per tornare liberi
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‘In Ucraina è guerra per procura’: a dirlo è il segretario di Stato Usa Marco Rubio. E il Cremlino plaude
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Più che le conclusioni del Consiglio europeo sembrano un bollettino di guerra, con i nostri governanti che, in un clima di ubriacatura collettiva, programmano una spesa straordinaria di miliardi su miliardi per armi, missili e munizioni. E la premier Meloni cosa dice? 'Riarmo non è la parola adatta' per questo piano. Si preoccupa della forma e di come ingannare i cittadini. Ma i cittadini non sono stupidi! Giorgia Meloni come lo vuoi chiamare questo folle programma che, anziché offrire soluzioni ai bisogni concreti di famiglie e imprese, affossa l’Europa della giustizia e della civiltà giuridica per progettare l’Europa della guerra?". Lo scrive Giuseppe Conte sui social.
"I fatti sono chiari: dopo 2 anni e mezzo di spese, disastri e fallimenti in Ucraina anziché chiedere scusa agli italiani, Meloni ha chiesto a Von der Leyen di investire cifre folli in armi e spese militari dopo aver firmato sulla nostra testa a Bruxelles vincoli e tagli sugli investimenti che ci servono davvero su sanità, energia, carovita, industria e lavoro. Potremmo trovarci a spendere oltre 30 miliardi aggiuntivi sulle armi mentre ne mettiamo 3 scarsi sul carobollette".
"Stiamo vivendo pagine davvero buie per l’Europa. I nostri governanti, dopo avere fallito con la strategia dell’escalation militare con la Russia, non hanno la dignità di ravvedersi, anzi rilanciano la propaganda bellica. La conclusione è che il blu di una bandiera di pace scolora nel verde militare. Dai 209 miliardi che noi abbiamo riportato in Italia dall'Europa per aziende, lavoro, infrastrutture, scuole e asili nido, passiamo a montagne di soldi destinati alle armi".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Much appreciated". Lo scrive Elon Musk su X commentando un post in cui si riporta la posizione della Lega e di Matteo Salvini sul ddl Spazio e Starlink. Anche il referente in Italia del patron di Tesla, Andrea Stroppa, ringrazia via social Salvini: "Grazie al vice PdC Matteo Salvini per aver preso posizione pubblicamente".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - Gianfranco Librandi, presidente del movimento politico “L’Italia c’è”, ha smentito categoricamente le recenti affermazioni giornalistiche riguardanti una presunta “coalizione di volenterosi” per il finanziamento di Forza Italia. Librandi ha dichiarato: “Sono tutte fantasie del giornalista. Smentisco assolutamente di aver parlato di una coalizione di volenterosi che dovrebbero contribuire al finanziamento del partito”.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Il vergognoso oltraggio del Museo della Shoah di Roma è l'ennesimo episodio di un sentimento antisemita che purtroppo sta riaffiorando. È gravissima l'offesa alla comunità ebraica ed è gravissima l'offesa alla centralità della persona umana e all'amicizia tra i popoli. Compito di ognuno deve essere quello di prendere decisamente le distanze da questi vergognosi atti, purtroppo sempre più frequenti in ambienti della sinistra radicale infiltrata da estremisti islamici , che offendono la memoria storica e le vittime della Shoah. Esprimo la mia più sentita solidarietà all'intera Comunità ebraica con l'auspicio che tali autentici delinquenti razzisti antisemiti siano immediatamente assicurati alla giustizia ". Lo ha dichiarato Edmondo Cirielli, Vice Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Meloni ha perso un'occasione rispetto a due mesi fa quando si diceva che sarà il ponte tra l'America di Trump e l'Europa e invece Trump parla con Macron, con Starmer e lo farà con Merz. Meloni è rimasta un po' spiazzata. Le consiglio di non essere timida in Europa perchè se pensa di sistemare i dazi un tete a tete con Trump, quello la disintegra. Meloni deve stare con l'Europa e Schlein quando le dice di non stare nel mezzo tra America e Europa è perchè nel mezzo c'è l'Oceano e si affoga". Lo dice Matteo Renzi a Diritto e Rovescio su Rete4.