Quando Andrea Bertolacci mette a terra il pallone non sono passati neanche quaranta secondi dal fischio di inizio. La linea del fallo laterale gli impedisce la fuga verso sinistra, due avversari in completo bianco gli sbarrano la strada verso la porta. Si vede che non si trova a suo agio in quel ruolo, eppure quando Antonio Conte gli ha detto che avrebbe giocato come esterno sinistro di centrocampo proprio non se l’è sentita di dissentire. Cerca con il mancino di servire Alberto Aquilani: è un pallone lento, che non arriverà mai a destinazione. Quella del 18 novembre 2014 è la serata dell’esordio in Nazionale di Andrea Bertolacci. E la partita non è esattamente delle più tirate. L’Italia di Conte affronta l’Albania di Gianni De Biasi in un’amichevole particolare. Serve a destinare fondi a Genova, che appena un mese prima era stata colpita dall’alluvione. Serve a festeggiare la prima storica qualificazione delle Shqiponjat a un Europeo.
Sei anni più tardi quei fotogrammi raccontano una storia molto diversa. Perché a soli 29 anni Andrea Bertolacci si è ritrovato svincolato. Niente più maglie colorate d’azzurro.Solo allenamenti in solitaria e inquietudini rese meno amare dalla speranza. Quella di ottenere un nuovo contratto, di trovare una nuova piazza. All’improvviso il centrocampista che ha indossato le divise di Lecce, Genoa, Milan e Sampdoria si è ritrovato intrappolato nelle pagine di Triste Solitario y Final, quando Osvaldo Soriano, raccontando il ritorno di Stan Laurel in Inghilterra, scrive: “È necessario scommettere un’altra volta sulla vita; ma non sa se qualcuno si azzarderà ad accettare la sua scommessa”. Una paura che in questa estate di pandemia globale è diventata comune a molti calciatori. Perché il Covid-19 ha reso anemici i bilanci di tutte le società. E se i club più opulenti si sono potuti permettere di spacciare per grande colpo l’esubero di qualcun altro, i meno abbienti si sono limitati a tagliare. Anche per questo la lista degli svincolati è diventata piuttosto nutrita.
Il gruppo è piuttosto variegato. Ci sono calciatori che hanno calpestato i prati più verdi d’Italia e d’Europa, come Balotelli, Bertolacci, Borini, Pazzini, Cerci, Padoin ed Heurtaux. Ma anche specialisti di categoria alla ricerca di un ultimo contratto come Nicolas Frey, Canini, Cacia, Malomo, Gabionetta, Santacroce, Coda. Profili molto diversi ma uniti da un presente che stenta a diventare futuro, da una serie infinita di giornate che scivolano via sempre uguali nell’attesa di quella telefonata che trasformi un interessamento in un’offerta ufficiale. E forse dovranno aspettare ancora un po’. Perché in questo mercato senza euro, dove molte trattative si sono risolte in un baratto (capace comunque di generare plusvalenze), le priorità dei procuratori sono state altre. Prima bisognava spostare i giocatori tesserati. Perché per i loro trasferimenti c’era una data di scadenza più stringente da rispettare. Perché per i loro trasferimenti c’erano commissioni più golose da reclamare. Solo da ora si comincerà a pensare davvero a chi è rimasto senza contratto. Anche se il campionato è iniziato ormai da tre settimane.
Gli ultimi mesi sono stati piuttosto complessi per i calciatori, ma soprattutto per quelli in scadenza. E già ad aprile la Fifpro aveva lanciato l’allarme. In uno studio condotto insieme all’Università di Amsterdam, infatti, il sindacato mondiale dei calciatori aveva sottolineato come durante il lockdown il numero di calciatori che manifestavano sintomi compatibili con una diagnosi di depressione era raddoppiato, passando dal 6 al 13% per quanto riguarda i calciatori e dall’11 al 23% per le calciatrici. E il motivo di questa impennata era riconducibile alla paura di molti atleti per il proprio futuro professionale, avvolto dall’incertezza. Il senso dello studio era quello di raccontare la vita e le esperienze di quei calciatori molto lontani dallo status (e dai milioni) di top player. Una maggioranza silenziosa che si ritrova a portare avanti una carriera con uno stipendio impiegatizio e, soprattutto, con una vita lavorativa piuttosto breve.
Un problema che può essere compreso a fondo solo prendendo in considerazione i numeri. Due anni fa in Lega Pro giocavano 963 calciatori “professionisti” e 4710 “giovani”. E il minimo salariale annuo per un calciatore sopra i 24 anni era di 26.644 euro. Lordi. Gli atleti fra i 19 e i 24 anni, invece, potevano contare su una paga lorda di 20.263 euro. I problemi economici legati al Covid-19 si sono fatti sentire soprattutto nelle categorie inferiori e moltissimi calciatori con uno stipendio sotto i 50mila euro lordi annui hanno dovuto fare i conti con la cassa integrazione di nove settimane e con i ritardi dell’Inps. “Noi non abbiamo raccolto situazioni depressive – ha raccontato a ilfattoquotidiano.it il presidente dell’Aic, l’Associazione Italiana Calciatori, Umberto Calcagno – ma sicuramente abbiamo registrato il malessere di alcuni ragazzi molto giovani che durante il lockdown vivevano in appartamenti molto piccoli e desideravano tornare dalle loro famiglie, come tutti. Per quanto riguarda il lato economico, invece, abbiamo portato a termine un’operazione con la Figc che, attingendo dal Fondo di Solidarietà, ci permetterà di integrare al 100% lo stipendio di quei calciatori che sono stati messi in cassa integrazione. Nessuno perderà un euro del suo stipendio”.
Eppure più di 200 calciatori di Lega Pro rischiano di non avere più uno stipendio mensile. Colpa anche della riforma, poi modificata, delle liste dell’ex Serie C. Da questa stagione, infatti, ogni squadra poteva iscrivere massimo 22 elementi, con un unico slot extra attribuibile a un giocatore classe 2001 o più giovane. La panchina lunga non serviva più. Così molti giocatori sono finiti fra gli svincolati. Una scelta che l’Aic ha contrastato aspramente, arrivando a minacciare anche lo sciopero in vista della prima giornata. “Le liste a 22 hanno sicuramente inciso sul numero degli svincolati e rischiavano di colpire soprattutto i calciatori della fascia intermedia, quella che comprende i ragazzi che hanno fra i 22 e il 24 anni – ha spiegato Calcagno – perché loro si stanno ancora costruendo come calciatori, mentre invece quelli più in là con gli anni sono già riusciti ad affermarsi come giocatori di categoria”.
Alla fine Lega Pro e AIC hanno trovato un accordo per portare le liste a 24 elementi più un classe 2001, ritagliando così altri 170 posti “di lavoro” che si andranno a sommare ai 120 già disponibili. Non tutti gli svincolati, però, saranno riassorbiti. E se i grandi nomi (Pazzini, ci ha detto il suo procuratore Tullio Tinti della TMP Soccer, sta valutando diverse offerte che gli sono arrivate in questi mesi), i colleghi della Lega Pro dovranno continuare a combattere per non cadere nel dimenticatoio, per mettere la loro firma su un nuovo contratto, per tornare a giocare. Una battaglia solitaria e silenziosa, visto che quest’anno, a causa del coronavirus, l’Aic non ha potuto organizzare il tradizionale ritiro per gli svincolati di Coverciano. Un raduno dove ci si allenava in gruppo, dove giocavano amichevoli che diventavano vetrine per quei club che dovevano togliere qualche spina dalla loro rosa grazie a un acquisto economico. Ora l’assurda estate degli svincolati si è trasformata nell’assurdo autunno degli svincolati. E loro continuano a correre da soli. Nella speranza di essere davvero i fabbri del loro futuro, di trovare quell’accordo che li faccia sentire ancora importanti.